Non gradito in Egitto. Nella terra del Nilo nero, di faraoni e piramidi, è considerato ‘persona non grata’ dall’uscita del suo film “Omicidio al Cairo” (2017). Saleh, regista svedese, ha dovuto girare in Turchia, a Istanbul, usando la Moschea di Solimano come ambientazione. “La cospirazione del Cairo“, al cinema dal 6 Aprile 2023: un thriller mozzafiato, di spionaggio, come non si vedeva dai tempi di Jean-Jacques Annaud con “Il nome della rosa“. Dove l’abate di Umberto Eco è qui l’Imam. Un film che guarda dall’interno il potere, i metodi violenti applicati dai servizi segreti. Gli stessi che hanno in odio proprio il regista.
Il prescelto, l’angelo al Cairo
Tarik Saleh conosce l’Egitto perché suo padre nasceva lì. Il suo più grande successo, arriva col giallo basato su una storia vera: “Omicidio al Cairo“, (una cantante trovata morta in un hotel, diventa vicenda politica e si espande fino a toccare i vertici del potere). Costato anima e fatica, è stato girato a Casablanca in Marocco, perché Saleh era stato già allontanato, ed è vincitore in patria del premio Guldbagge per il miglior film. Cinque anni dopo, arriva “La cospirazione del Cairo“, che ripercorre le orme oscure e intricate del labirinto islamico. In concorso al 75° Festival di Cannes, vince per la miglior sceneggiatura. L’istituzione religiosa e le pericolose connivenze con il potere politico, sono al centro del film. Il giovane Adam (Tawfeek Barhom), figlio di un pescatore analfabeta, viene ammesso, grazie a una borsa di studio, alla più presitigiosa università islamica del Cairo. Dove si forma la futura classe dirigente religiosa. Un privilegio che il padre considera disegno di una suprema volontà divina.
Ma il Grande Imam di al-Azhar muore, si accascia durante una predica di benvenuto a un gruppo di studenti. E quel vuoto di potere scatena una guerra silenziosa all’interno dell’istituzione. Il candidato naturale sarebbe un anziano Imam cieco, di grande profondità spirituale. Però, il Presidente della Repubblica egiziano preferisce un leader disposto a mantenere la netta separazione fra religione e Stato, per una “questione di sicurezza nazionale“. Perché “non ci possono essere due faraoni”, ma solo una solida dittatura. I servizi segreti egiziani cospirano per influenzare l’elezione del suo successore, affinché sia accondiscendente ai loro interessi politici. Serviva “un nuovo angelo, una matricola senza legami“. Così Adam, viene assoldato, contro la sua volontà, come talpa dal Colonnello Ibrahim dei servizi segreti (magnificamente interpretato dallo stesso Fares Fares, attore libanese naturalizzato svedese, protagonista del noir precedente).
La cospirazione del Cairo punge come la rosa
Tutt’altro che puro. Il Colonnello Ibrahim è abile nelle pericolose stanze del malaffare. Maestro di opportunismo, sagace furbizia, e insensibilità. Il suo vestiario è tratto realmente da uno degli zii dell’attore Fares. “È stata la sicurezza dello stato a uccidere lo studente straniero“, asserisce il colonnello, riguardo l’omicidio della loro giovane spia all’università. E nessuno conoscerà mai nomi e indirizzi degli agenti assassini. L’omicidio dello studente coranico, passerà ufficialmente per incidente. Il pensiero corre inevitabilmente alla tragica sorte di Giulio Regeni, e a Patrick Zaki. Si spera che il film faccia volutamente riferimento alle vicende, diventando manifesto d’impegno civile, persuadendo le coscienze. Il regista conferma di aver tratto ispirazione da “Il nome della rosa“; provando a domandarsi “E se ambientassi una storia come quella di Umberto Eco in Egitto?“. Così nasce “La cospirazione del Cairo”, “Boy from Heaven” il titolo originale con cui il giallo ha rappresentato la Svezia agli Oscar come miglior film internazionale. “Temi, Adso, i profeti e coloro disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimo con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro“, dal libro di Umberto Eco risuona la frase, per il medioevo o i nostri giorni, asssai reale.
“La cospirazione del Cairo” è anche autobiografico, perché il nonno del regista Saleh proveniva da un villaggio povero nel delta del Nilo, ed è stato accettato all’università Al-Azhar. Come deve essere un bravo mussulmano? È la domanda che ci si pone guardando il film. Adam è il “ragazzo mandato da Dio“. Dà prova di grande acume, come frate Guglielmo, Sean Connery in saio, che muoveva ingegno e saggezza nel labirinto dell’Abbazia. Saleh mette nel film l’inquietudine e il mistero; il movimento frusciante degli abiti che accompagna preghiere e complotti, e le musiche fatte di monologhi accorati. C’è sempre qualcosa di poco conosciuto per noi occidentali.
Federica De Candia
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