Il lockdown ha avuto un effetto disastroso sull’intero mercato del lavoro italiano. L‘Istat, nei nuovi dati diffusi il 6 aprile, ne ha fotografato l’impatto, segnalando che a febbraio gli occupati in Italia erano 22.197.000, ovvero 945.000 in meno rispetto a febbraio 2020. In un anno sono diminuiti i posti a termine (-372mila) e gli autonomi che crollano a 4,8 milioni (-355mila). Nonostante il blocco dei licenziamenti, il cui unico risultato prodotto è stato tutelare i lavoratori assunti con contratti a tempo indeterminato. Ma le più colpite dalla pandemia sono soprattutto le donne, di cui il 98% ha perso il lavoro: oggi, nel nostro Paese, lavora meno di una donna su due. Un dato che conferma come quelli più penalizzati sono sempre coloro che godono di minori tutele, ribadendo che non siamo tutti uguali, neanche di fronte l’emergenza sanitaria. Con lo smart working sarebbe dovuto esser più facile conciliare i tempi della vita privata con gli impegni lavorativi. Ma non nella realtà italiana dove vige la mentalità per la quale la donna è la prima a doversi fare da parte se il numero dei posti di lavoro diminuisce. Perché dedita alla gestione della casa e della famiglia.

L’intervista a Bonetti

“Cosa stiamo facendo per cambiare questa situazione?”: è la domanda che Vanity Fair ha posto alla ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, fautrice del provvedimento approvato la scorsa estate alla Camera e nei giorni scorsi passato all’unanimità in Senato: l’assegno unico universale, “un traguardo storico importante per l’Italia – ha detto Bonetti – perché la legge è il primo effetto della riforma del Family Act, nata alla Leopolda e approvata nello scorso governo dal Consiglio dei Ministri e che oggi è alla Camera. E’ il primo pezzo di questa riforma che abbiamo voluto anticipare perché riteniamo che le famiglie oggi abbiano bisogno di strumenti per poter progettare mese dopo mese la propria vita”. L’assegno, spiega, sarà destinato a tutti i bambini e le bambini dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni di età. “E’ un cifra certa, semplicemente erogata mese dopo mese, maggiorata a partire dal terzo figlio e per i bambini disabili per cui non c’è limite di età: questo significa che ogni genitore può contare su un accompagnamento stabile con cui poter fare scelte in prospettiva, sia di carattere economico nei confronti dei propri figli così come decidere di avere un figlio. Oggi le famiglie italiane vivono un momento d’incertezza e questo è uno strumento per aiutarle ad uscire da questa dinamica di paura e proiettarsi giorno dopo giorno nel domani”. La ministra ha poi spiegato che il Family Act prevede un investimento proprio nel lavoro femminile, che insieme alle nascite ha subito un calo drastico: “L’Italia non ha mai visto nella sua storia una differenza così ampia tra numero di nascite e decessi. Siamo davvero in un momento difficile”, soprattutto al Sud, dove lavora 1 donna su 3.

Quando le chiedono come si sta incentivando il lavoro femminile risponde che “servono azioni anche strategiche“, ad esempio facendolo costare meno, “quindi la decontribuzione che abbiamo introdotto nella legge di bilancio per l’assunzione di donne. E’ un primo passo ma non basta. Se un’azienda oggi deve assumere una donna o un uomo – ha spiegato Bonetti – a parità di competenze e di merito, potrebbe considerare più costoso scegliere una donna, dovendo prevedere una sostituzione nel caso in cui restasse incinta. Questi costi aggiunti devono essere rimossi, per eliminare ogni disparità di accesso al mondo del lavoro da parte delle donne. Sono costi che devono essere eliminati dallo Stato e sottolineo che sono investimenti, non spese. Aumentare il lavoro femminile signfica aumentare il Pil del nostro Paese”. La strategia nazionale rivolta alla parità di genere comporta azioni specifiche sul mondo del lavoro, continua Bonetti, che nel citare degli esempi rimarca la necessità di cambiare innanzitutto l’approccio culturale: “E’ una sfida che dobbiamo affrontare con grande determinazione perché è un appuntamento storico che non tornerà più”. E a proposito di appuntamenti, le fanno notare come quello del ddl Zan è atteso da più di 20 anni, approvato già alla Camera ma bloccata al Senato per mani del presidente leghista della commissione Giustizia Andrea Ostellari, che per la seconda volta ha rimandato la calendarizzazione della discussione del disegno di legge, nonostante le sollecitazioni da parte anche di molti personaggi dello spettacolo, oltre che attivisti e associazioni LGBT+. “Si tratta di una legge che condanna la violenza nei confronti delle persone sulla base del loro orientamento sessuale, dell’identità di genere, del sesso e della disabilità e ha una valenza di riconoscimento e tutela della dignità della persona e del valore delle diversità, che deve essere garantito”, ha ricordato Bonetti, la quale si dice da sempre sostenitrice della necessità di tutelare la dignità “di cui lo Stato si deve rendere responsabile“. Secondo la Rainbow Map dell’ILGA (International Lesbian and Gay Association), che illustra la situazione giuridica e politica delle persone LGBTI in Europa, l’Italia è agli ultimi posti, con livelli di poco superiori alla Polonia che, insieme ad Ungheria, ha fatto la maggior parte dei titoli anti-LGBTIQ, ma “ci sono tanti modi in cui l’UE e i suoi stati membri non riescono a garantire che le persone LGBTI siano libere e uguali nell’UE”, scrive l’ILGA, tra cui il non riuscire a legiferare per proteggere le persone LGBT+ dalla discriminazione. in Italia solo il 23% dei diritti delle persone lesbiche, gay, trans, bisessuali, intersessuali e queer vengono tutelati. Eppure i tempi sono più che maturi: la legge Zan non si può più rimandare. E’ inaccettabile che la Lega continui a fare ostruzionismo. “Penso che quando si arriva a farsi carico dei diritti fondamentali lasciando da parte dibattiti ideologici, questi diritti sono elementi preziosi di ricomposizione della politica”.

Francesca Perrotta