Hei Folks! È tornata la vostra Ellie – sì lo so, probabilmente sto parlando da sola, non credo proprio che qualcuno mi stesse spettando. In ogni caso eccomi qui, piena di sfiducia e misantropia come al solito, per parlarvi de La Profezia dell’Armadillo – Il Film. Come al solito la sottoscritta, prima di procedere, necessita di alcune brevi premesse.
Come ha sentito più volte la necessità di sottolineare – sia in privato che in pubblico, con post e blog – l’autore stesso, questo NON È IL FILM di Zerocalcare. È un film tratto dall’omonima raccolta. E già questo frappone parecchi piani separatori tra di esso e la vita di Michele. Perché anche il libro stesso, pur essendo profondamente autobiografico, non è una trasposizione fedele. Insomma ragazzi, non stiamo parlando di un diario.
Tutto ciò per dire che la sottoscritta – che ci tiene a sottolineare il fatto di quanto sia ridicolmente groupie del fumettista Zero – procederà da qui in avanti ad una critica esclusiva del film, con le necessarie comparazioni all’opera da cui è tratto.
La notizia di questa produzione – inutile negarlo – è stata accolta come una bomba. Molti di noi non vedevano l’ora, soprattutto nel contesto del cinema italiano attuale. Un cinema che, da qualche anno a questa parte, sembra aver ritrovato un soffio vitale che ha dell’originale, soprattutto per ciò che concerne soggetti vicini alla cultura più “popolare”.
Invece niente. Stavolta non ci siamo. O meglio, se confrontato al fumetto non ci siamo proprio, se preso in sé il film può andare. Perché? Vediamo.
Premettendo che siamo tutti consapevoli di quali difficoltà di trasposizione potesse presentare quest’opera, a modesto parere di chi scrive il problema primario e macroscopico del film di Emanuele Scaringi è che non conosce il mondo di Zerocalcare. Non basta ambientare una chiacchierata nelle celle del Forte Prenestino per rappresentare il mondo dei centri sociali. Non basta far girare i propri personaggi fino all’alba per dare quel senso di insicurezza e disagio che pervade le vite di molti di noi. La sottile inquietudine che ti opprime e ti fa sentire il fiato corto e il petto pesante. La rabbia che ti provoca essere costretto a fare almeno tre lavori – precari e detestabili – pur di sopravvivere. Qui il suo mondo ha un che di Roma Nord, e se vieni da Rebibbia non hai nulla di Roma Nord. Le musiche sono sbagliate, i silenzi non parlano a dovere, trasmettono delle sensazioni sbagliate.
Non è un problema di storia, la quale rimane abbastanza fedele all’opera originale. Zero viene a sapere che l’amica d’infanzia Camille – per cui aveva una cotta – è morta, notizia che lo sconvolge nel profondo. Tutto vero e portato sul grande schermo. Quello che Scaringi non riesce a fare è infondere nel film la vera poetica dell’opera di Calcare.
Come ben sanno tutti i seguaci dell’autore più famoso di Rebibbia è che sotto le (grasse) risate suscitate dalle sue trovate surreali e brillanti, c’è una profondità immensa. Riflessioni articolate e composite che investono una quantità di argomenti impressionante attraverso uno stile personale. Uno stile che quando uscì la prima edizione de La Profezia dell’Armadillo infuse nel panorama del fumetto italiano una ventata d’aria freschissima. Il film invece si innesta nel cinema italiano degli scorsi anni, senza presentare novità di sorta.
Nonostante sia riuscito innegabilmente a strapparmi diverse risate, il film di Scaringi finisce per risultare come una serie di situazioni più o meno diverse, più o meno ben collegate, che manca di coesione nonché di una propria coerenza interna.
Per quanto riguarda cast e recitazione abbiamo prestazioni buone ma anche alcune che finiscono per non risultare all’altezza. Forse anche grazie al look estremamente preciso Simone Liberati interpreta efficacemente Zero, così come Pietro Castellitto – figlio d’arte del celebre Sergio – da un’esilarante forma all’amico Secco. Una cosa che però non posso esimermi dal denigrare, riguardo alla figura di quest’ultimo, è la sostituzione delle sue amate bombe-carta con una strana dipendenza dallo spray al peperoncino. Magari un giorno mi verrà spiegata questa scelta, che francamente non approvo miei cari. La bombe-carta sono parte integrante del personaggio di Secco, come l’Armadillo lo è per Zero.
Ecco, l’Armadillo è un altro elemento che – nonostante non siano in molti ad aver apprezzato il costume di gomma con cui Valerio Aprea da corpo alla coscienza di Michele – alla sottoscritta è piaciuto. I monologhi ansiogeni, l’estremizzazioni drammatiche, i toni apocalittici: il tutto mi sembra riportare l’impronta dell’amatissimo Armadillo originale. Bravo Aprea dunque, nonostante le difficoltà oggettive dovute al suddetto costume.
Meno convincente – ma forse perché non molto adatta al ruolo – Laura Morante nei panni della Madre di Zero. Per essere sincera fino in fondo, a non essermi proprio andati giù sono le versioni adolescenziali di Camille e Zero, interpretati rispettivamente da Sofia Staderini e Valerio Ardovino. Vuoi per la giovane età, vuoi perché le scelte compiute nella sceneggiatura non rendono giustizia alle controparti cartacee, i due giovani risultano oltre che poco convincenti anche del tutto alieni alle versioni adulte.
Tirando le somme la vostra Ellie considera La profezia dell’Armadillo un esperimento non troppo riuscito. Con la fiducia però che un secondo tentativo, magari con una partecipazione più profonda dell’autore e un’opera più adatta alla trasposizione filmica, possa regalarci parecchio di più.
Gaia “Ellie on the Rocks” Cocchi