“Quando sentiamo il bisogno di un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di chiederlo”.
(Emily Dickinson)
Quanto conta il gesto di un abbraccio nella società contemporanea?
Un interessante libro, edito dalla Franco Angeli Editore, dal titolo “La scienza degli abbracci” e scritto dai giovani autori Francesco Bruno e Sonia Canterini, descrive la funzione degli abbracci, offrendo una prospettiva storica, culturale e neurologica degli effetti benefici che questo tipo di esperienza gestuale e affettiva procura al nostro corpo.
Il libro, che molto rievoca, in quanto a discorsività e tocco artistico, lo stile trattatistico di Umberto Galimberti, esplora quella che è la scienza degli abbracci, partendo dal regno animale, per arrivare poi, nello specifico, al sistema nervoso degli esseri umani.
Ma quali sono le novità principali che questo saggio di ricerca offre, ai più curiosi?
Ad esempio, l’interessante tecnica dell’ huddling, con cui si apre il primo capitolo, racconta di come gli animali sfruttino l’abbraccio a fini termoregolativi, per sopravvivere al freddo e alle intemperie dell’inverno e trasmettersi a vicenda il calore (come i lemuri); attitudine, questa, che i koala adottano anche con le piante e gli alberi.
Successivamente, una ricerca sui resti archeologici di antiche tombe, in cui furono rinvenute coppie di esseri umani defunti abbracciati, spiega al lettore quella che era la scienza degli abbracci cinquemila anni fa, narrandone l’evoluzione sociologica.
E che dire, invece, della terapia dell’abbraccio come cura guaritrice di isterie, ipertensioni e disturbi quali l’autismo o la sindrome di Asperger? Anche su questo, “La scienza degli abbracci” ha saputo offrire spiegazioni, raccontando la storia di personaggi che, con la loro forma alternativa di trasmettere empatia, riuscirono a trovare soluzioni alternative agli ostacoli comunicativi ed affettivi, come nel caso di Temple Grandin, celebre docente affetta dalla sindrome di Asperger, che, osservando il comportamento delle mucche, brevettò la Macchina degli Abbracci, brevettandola anche su se stessa; la donna, infatti, era consapevole del proprio limite ad accogliere gli stimoli trasmessi dal contatto con altri esseri umani e così decise di sottoporsi al macchinario, per ricevere la sensazione dell’abbraccio, senza però mettere in gioco implicazioni relazionali che potessero procurarle reazioni di insofferenza e fastidio.
E proprio l’Italia, nazione di avanguardia nella cura e nei progetti di inclusione nei confronti di autistici, bambini con la sindrome di Down e quant’altro, sta ormai facendo dell’abbraccio, dell’empatia e della suggestopedia un uso quotidiano, all’interno di scuole, cliniche e centri specializzati.
In un’era digitale in cui i rapporti umani si sono sempre più smaterializzati, trasferendosi sul web e trasformando le persone in veri e propri avatar, ormai incapaci di vivere la quotidianità del reale senza un principio di astrazione e alienazione,il gesto dell’abbraccio acquista sempre più un ruolo apicale, nella piramide nutrizionale dei sentimenti.
E si ribalta quindi il paradigma secondo cui l’approccio fisico in grado di fornire la maggior carica di energia sia il sesso, laddove lo stato di sofferenza del pianeta Terra ha raggiunto picchi così alti (si pensi alle migliaia di poveri e senzatetto nel mondo, alle persone affette da disturbi e sindromi quali quella autistica o l’ADHD, così come agli animali vittime innocenti della crudeltà dell’uomo), da decretare, come priorità assoluta, l’esigenza di una risposta solidale e caritatevole, piuttosto che passionale e ludica, ai bisogni dell’anima e della società.
Riuscirà la scienza degli abbracci a salvare il mondo dalla grettezza, la crudeltà e l’apatia in cui riversa? Probabilmente, in larga parte, insegnerà sicuramente a ritrovare quel calore e l’attitudine allo sharing che non coinvolge solo gli esseri umani, ma anche il regno animale e, last but not least, quello vegetale.
Concludendo, posso solo dichiarare che, dopo aver letto questo libro, ho imparato ad osservare la realtà che mi circonda da un’ulteriore prospettiva, che mi fa cercare ovunque, anche dove vedo un bacio, la speranza di un abbraccio.
GIORGIA MARIA PAGLIARO