“La Spina del Diavolo”: viaggio nell’inquietante cinema di Guillermo del Toro – “Fairy Tale Horror Novels”

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Di Redazione Metropolitan

Guillermo del Toro nella sua mostruosa casa
Guillermo del Toro nella sua mostruosa casa

Per coloro che hanno un debole per i meravigliosi mostri del cinema moderno, il regista messicano Guillermo del Toro si è guadagnato la reputazione di miglior esponente vivente del “cinema delle favole“. Che si occupi di film, libri o videogiochi, il lavoro di del Toro è segnato da una spiccata componente favolistica, bizzarra e a tratti cupa, ma con un finale pieno di speranza. La filmografia di del Toro ha acquisito una dimensione sempre più personale nel corso della sua carriera, nonostante il continuo rimbalzare tra fiabe dark d’autore e produzioni blockbuster. G. del Toro approda al lungometraggio nel 1993 con una produzione messicana dal titolo “Cronos“, vincitore della Camera d’or a la Semaine de la Critique a Cannes e di numerosi altri premi in Messico e in vari festival internazionali del cinema fantastico.

Ma sarà solo dopo l’incontro con il fumetto americano che viene notato dal grande pubblico internazionale, grazie a titoli come “Blade II” e “Hellboy“. La sua creatività è indubbiamente sollecitata dal genere horror, ma la carica gotica e splatter si intreccia alla storia e al fantastico; ciò accade grazie al combo del 2001 “La spina del Diavolo“, totale fusione del fantastico con la Storia. Guillermo del Toro cita spesso nelle sue interviste una frase di The Skins of the Fathers, un racconto di Clive Barker, “Il passato non è mai morto“, una frase che si riferisce a un sentimento che si muove nel profondo, in un luogo toccato solamente dai mostri e dai fantasmi del passato.

“I mostri li sento vicini a me, come se fossero veri”, infatti, la parte più creativa e più fragile del bambino che vive dentro del Toro è letteralmente quella di un fanciullo trasformato dai mostri. Sia sullo schermo che nel mito o nell’immaginazione, da sempre affascinato dai mostri, Guillermo Del Toro, macabro nei suoi sogni e poetico nel trasporre con macchina da presa, prefigge, per sua stessa ammissione, alle sue creature un velato messaggio.

La scelta di eroi poco convenzionali al cinefumetto mainstream costituisce una variazione sul tema del mostro, vero leitmotiv della filmografia di del Toro, cercando di capire cosa loro provano esaltandone le caratteristiche per renderle più evidenti attraverso una maniacale cura per ogni aspetto dei personaggi, dunque mostri che non attendono dietro l’ombra ma che si appropriano dei propri spazi, come avviene con i vampiri nella discoteca in “Blade II“. L’amore per le forme classiche si riscontra invece nei generi cinematografici di “Crimson Peak” e La forma dell’acqua“, film che tra l’altro si aggiudica anche 4 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior regia, costruendo attraverso essi un universo iconico dalla messa in scena vivida e anatomica nella sua precisa rappresentazione.

La Spina del Diavolo (2001)

La Spina del Diavolo” è uno straordinario film fantasy/thriller e horror, sullo sfondo storico della guerra civile spagnola, firmato Guillermo Del Toro, oltre ad essere produttore e sceneggiatore, capace di rapire la fantasia dello spettatore per poi colpirlo nel profondo dell’anima con una storia triste, tragica e amara immersa in un contesto durissimo come quello di un orfanotrofio lontano dal mondo, dove morte e dolore sembrano le uniche verità possibili. Una voce fuori campo parla con tono poetico di fantasmi, di eventi destinati a ripetersi e di dolore. Siamo nella Spagna del 1939, la storia risale all’epoca della Seconda Guerra Mondiale verso la conclusione della guerra civile, un bambino, Carlos, viene portato in un orfanotrofio. La ferma direttrice Carmen (Maria Paredes) nasconde all’interno dell’istituto dei lingotti d’oro, che usa per sostenere la causa dei repubblicani.

Carlos, nonostante la paura e la tristezza, entra subito in sintonia con le anime che abitano l’istituto: Santi e la misteriosa bomba inesplosa, designata per l’occasione “inesplosa” in quanto l’ordigno rappresenta qualcosa che rimarrà irrisolto come il nostro stesso stare al mondo, realizzando così una trasposizione simbolica nonché metafora sulla vita e sulle redini del mondo. Dopo qualche scontro con Jaime, orfanello leader, ma anche il più introverso e sensibile, il premuroso Carlos riesce a farsi accettare dalla sua nuova famiglia; si forma così un gruppo di bambini malridotti e dagli occhi profondi, che insieme riusciranno a vendicarsi e ottenere giustizia.

La Spina del Diavolo: il concetto della purezza

Fernando Tielve in "La Spina del Diavolo" (2001) - Photo Credits - Web
Fernando Tielve in “La Spina del Diavolo” (2001) – Photo Credits – Web

Se nel suo ultimo film “La Forma dell’acqua” l’elemento appunto dell’acqua è un elemento basilare, anche in questo frangente ha un ruolo fondamentale. “La Spina del Diavolo“, inizia e finisce con una cisterna sotterranea mentre il bambino fantasma perde sangue che fluttua nell’aria come se fosse nell’acqua.

Chi sono i veri fantasmi? Non solo quelli mostrati chiaramente da del Toro, bensì i bambini orfani, privi di un presente, causato dalla morte dei loro genitori, e di un futuro, spesso macchiato da rimorsi e paure che attanagliano ferocemente il loro cuore. Il regista messicano crea la figura di un fantasma classico e convincente donandogli background, una precisa connotazione estetica e uno scopo sensato. Una storia forte, emozionante ed estremamente drammatica, con un finale liberatorio, reso grande però da un passaggio precedente amaro e pieno di sofferenza infantile.

Guillermo del Toro: lo stile intrecciato alla Storia

Il regista di “Shape of Water” afferma che la sua fiaba romantica della Guerra Fredda riecheggia il 1962 e un precedente desiderio di “Make America Great Again“. “La Spine del Diavolo” è invece un’opera poderosa in grado di coniugare in un unico contesto eventi storici, come, la guerra civile spagnola degli anni ’30 da ghost story, assai torbide, a momenti estremi con tanto di sangue e violenza plebea, un piccolo micro mondo lontano anni luce da quello reale, che permette al gruppo di orfani di trovare la forza per emergere nonostante le numerose avversità che tragicamente li travolgono, riscoprendo lo spazio del soprannaturale e del mistero. 

Un horror con un’ottima presa sui bambini e una notevole strategia registica che combina elementi storici, fantastici e paurosi come fa anche in quello che possiamo definire un quasi capolavoro, “Il labirinto del fauno“. Morale delle sue inquietanti/favolose storie: ciò che era sbagliato durante la Guerra Fredda, rimane sbagliato oggi.

Giuliana Aglio