Dopo essere stato il primo Paese a firmarla 10 anni fa, la Turchia si è ritirata dalla storica Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. A seguito della notizia, centinaia di donne si sono radunate a Istanbul per protestare contro la decisione, gridando slogan pro-Lgbt e chiedendo le dimissioni di Erdogan.
La Turchia ha deciso di ritirarsi dalla convenzione di Istanbul, trattato del 2011 per prevenire e combattere la violenza contro le donne. Lo ha stabilito un decreto presidenziale firmato oggi e che ha suscitato le critiche dei principali partiti dell’opposizione. La Convenzione obbliga infatti i governi ad adottare una legislazione che contrasta la violenza domestica e gli abusi simili, come la violenza coniugale e le mutilazioni genitali femminili. Secondo i conservatori il provvedimento minerebbe l’unità familiare, incoraggiando il divorzio e dando spazio alla comunità Lgbt per essere maggiormente accettata nella società.
Una decisione commentata duramente dalla segretaria generale del Consiglio d’Europa Marija Pejcinovic Buric: “E’ un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne in Turchia, in Europa e anche oltre”, ha dichiarato. La convenzione “è stata firmata da 34 Stati europei ed è considerata lo standard internazionale per la protezione delle donne dalla violenza che subiscono quotidianamente”, ha aggiunto. Il Consiglio d’Europa, fa sapere un suo portavoce, non ha avuto alcun preavviso.
Il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul è stato bollato come “devastante” dal Consiglio d’Europa, secondo cui la decisione “compromette la protezione delle donne”.
È “un cattivo segnale all’Europa, ma soprattutto alle donne turche”, ha osservato il ministero degli Esteri tedesco, “un calo dei diritti preoccupante”, gli ha fatto eco il segretario di Stato francese per gli affari europei, Clement Beaune.
Erdogan aveva parlato per la prima volta di abbandonare la Convenzione di Istanbul lo scorso anno, nel tentativo di mobilitare il suo elettorato conservatore di fronte alle crescenti difficoltà economiche. A spingerlo a fare il passo i gruppi conservatori e islamisti, secondo i quali il trattato, poiché difende l’uguaglianza di genere, danneggia i valori familiari “tradizionali” e, dal momento che vieta la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, “favorisce” la comunita’ Lgbt.