La violenza psicologica ti colpisce all’improvviso. È come un frontale lungo una strada che hai percorso mille volte: sai che quell’albero è sempre stato lì ma un giorno ti ci schianti contro. Allora quella strada che credevi tanto familiare non sembra più così sicura, e finisci con l’averne paura.

Ti rendi conto dopo un po’, tuttavia, che la natura del tuo trauma risiede in ciò che pensavi di conoscere. E allora come pensi di agire, dove pensi di andare? Come pensi di salvarti se ciò che per te rappresentava una tutela si trasforma in una minaccia?

La serie Netflix Maid ha reso alla perfezione la meschinità della violenza psicologica: subdolamente nasconde i propri aspetti più oscuri per permetterti di abituarti alla brutalità, e renderti conto della tua condizione quando ormai è troppo tardi. E dopo settimane, mesi, anni di abusi verbali e fisici chi pensi che ti crederà quando troverai il coraggio di parlare?

Quindi denunciare diventa inutile e andarsene controproducente, specialmente se chi ti abusa ha tagliato quei rami che ti legavano alla vita sociale e professionale. Non c’è via di scampo e torni dal tuo aguzzino, perché nel frattempo la violenza psicologica ti ha convinto che se non hai mai reagito agli abusi è perché te li meriti, e che quella persona che hai accanto, in fin dei conti, sia l’unica a non averti abbandonato.

A volte vorresti davvero che ad averti colpito fosse stato quell’albero in mezzo alla strada, e non le botte e gli insulti di chi aveva promesso di prendersi cura di te. E chissà, forse nell’impatto avresti pure perso la vita, ma almeno sarebbe stato un incidente. La violenza, invece, non è mai un incidente.

Chiara Cozzi

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Ph: globalist.es