Ladyhawke: sempre insieme, eternamente divisi

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Di Redazione Metropolitan

Ladyhawke, il film del 1985 che tutti hanno visto almeno una volta per evitare l’emarginazione vita natural durante, veniva trasmesso il 12 aprile nei cinema statunitensi. Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer: i protagonisti della storia d’amore più evocativa del genere fantastico anni ’80.

Quando un buon nerd che si rispetti, dal gusto sopraffino e dalle pretese poco opinabili, si trova a recensire un film nella totalità delle sue parti, ha inevitabilmente una lista di elementi su cui apporre il segno di spunta. Procede così,  recitando a mente il mantra “ce l’ho, ce l’ho, mi manca”. Ladyhawke si presenta come quella pagina speciale dell’album di figurine da riempire con una manciata di quelle leggendarie: ambientazione medievale, avventura e combattimenti, componente fantastica, ironia, musiche epiche, personaggi ben rappresentati, storia d’amore impossibile. What else?!

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(credits: foto dal web)

Esistono film che godono del misterioso potere di poter essere rivisti all’infinito più un giorno, senza perdere quella magia che li avvolge rinfrancandone il valore.
Quel 12 aprile del 1985, per la regia di Richard Donner, le peripezie di Navarre e Isabeau venivano raccontate sul grande schermo regalando, ai loro spettatori, emozioni impossibili da vanificare.

Ladyhawke: una trama vincente

La trama rispondeva ad un meccanismo classico e necessario, difficilmente soggetto al trend modaiolo del momento, ma sempreverde nella sua essenza: buoni e fighi vs stronzo sacrilego e avverso alla redenzione. Così entra in scena il primo aiutante del protagonista, l’adolescente Philippe, colui che meglio incarna l’inadeguatezza di un comune mortale in età puberale trovatosi dinnanzi alla maestosità di un sentimento e di una vicenda che lo facevano sentire più piccolo di quanto non fosse realmente.

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(credits: foto dal web)

Il ragazzo, presente sin dal primo fotogramma, è un ladruncolo simile a quelli che rubavano le goleador al supermercato sotto casa. Ma, nella perfetta coerenza di un sistema legislativo medievale volto a punire in maniera assolutamente innocua crimini di questo tipo, Philippe era stato giustappunto condannato a morte. Il tentativo di fuga del giovanotto, nel desiderio di voler provare a campare almeno fino alla nascita del primo pelo, diventa un successo grazie all’intervento del tutto casuale di Etienne Navarre: ex capitano della guardia.

Il prode cavaliere, sprizzante fascino e bionditudine da ogni poro, affronta i suoi vecchi compagni d’arme e salva la vita a Philippe, con lo stesso stile impeccabile di Milord in Sailor Moon. Navarre, riuscito a seminare i soldati, placa l’entusiasmo del ragazzo dimostrandosi fedele esecutore del nobile motto “non si fa niente per niente”. Quindi, con la stessa seriosa nonchalance di uno che sta per proferire un’inezia insignificante, intima al giovane che gli sarebbe servito per condurlo in città, nella considerazione reale che lui sia stato l’unico in grado di fuggire dalla prigione di Aguillon. La causa? Il trucidamento non consensuale del Vescovo: un viscido ossessivo che puzza di inferno a 3 km di distanza.

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(credits: foto dal web)

E con queste premesse che, inclusa la giustificata reazione refrattaria di Philippe, inizia l’avventura epica. Una corsa contro il tempo per vendicarsi del religioso alleatosi con Satana nell’intento di spezzare la maledizione che trasforma Navarre, durante la notte, in un lupo e la sua amata Isabeau, durante il giorno, in un falco. 

Una trama avvincente, un movente prezioso, il tutto ambientato in paesaggi abruzzesi suggestivi e puntualmente coerenti con l’immaginario che ci viene sapientemente comunicato. 

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(credits: foto dal web)

Gli interpreti, i protagonisti, sono belli, belli in modo assurdo, in particolar modo Michelle, nel fiore degli anni: una visione celestiale che inebetisce anche le donne, azzerando insulse ed eventuali manie di competizione da reality trash. E sono bravi anche, molto. Iconici nella loro interpretazione, empatici, capaci di trasmettere quel tanto che serve per scatenare, in veste roboante, il fattore “Aw”, con sospiro annesso. 

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(credits: foto dal web)

Ladyhawke è, e rimarrà sempre, una pietra miliare del cinema di questo genere. Una di quelle rarissime opere che incontra il piacere unanime, inalterato negli anni, del pubblico. Sfido la persona meno emotiva e romantica al mondo, anche se fosse imparentata con Medusa di “Bianca e Bernie“, a rimanere impassibile davanti ad un piccolo capolavoro dotato di questi elementi pregiati. 

E noi, oggi, a 33 anni dalla sua prima uscita, non potevamo esimerci dal dedicargli due righe. Lunga vita a “Lady Falco”!

ALESSIA LIO

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