A meno di un anno dalle elezioni iniziano ad ardere i primi fuochi della campagna elettorale. Le forze politiche tradizionali pongono all’apice della loro agenda temi cavalcati da forze “antisistema” come Europa, immigrazione e sicurezza ben sapendo il peso che essi hanno in termini di voti.

Sull’altro versante, il fronte “populista” deve convincere i poteri forti del paese di essere in possesso delle capacità adatte per governare l’Italia. In questa ottica si inquadra la presenza di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini al forum Ambrosetti, l’antipolitica che prova a fare la politica. E che va a caccia della parte più consistente dell’elettorato italiano, ovvero gli indecisi e gli astenuti.

Come ogni anno dal 1975 a Cernobbio, nella meravigliosa Villa d’Este, si tiene il forum organizzato dalla “The European House – Ambrosetti Spa”, un evento che vede riunirsi sulle sponde del lago di Como il gotha della finanza e della politica mondiale per una tre giorni di conferenze e di approfondimenti. Il Forum, come si può leggere sul sito di lancio dell’evento, ha avuto tra i protagonisti delle ultime edizioni una serie di personaggi particolarmente invisi alla Lega e ai 5 stelle come Napolitano, Monti, Prodi, Barroso e molti altri. Tuttavia, i leader dei due partiti hanno deciso di partecipare all’evento cercando di dimostrare, in vista delle elezioni, di poter essere in grado di sedersi ai tavoli buoni della politica italiana. Per il segretario del Carroccio non si tratta della prima apparizione (è intervenuto nell’edizione del 2015), ma la sua presenza ha quest’anno un sapore diverso, visto il peso politico della Lega alle prossime elezioni. Per Di Maio, invece, è un esordio assoluto ma non lo è per i 5 stelle; Gianroberto Casaleggio aveva preso parte ad un paio di edizioni negli anni passati.

L’intervento del vice presidente della camera è stato un manifesto della faccia istituzionale del movimento cinque stelle. Di Maio ha cercato di convincere la platea della bontà di questa faccia, dicendo che “non vogliamo creare assolutamente né un’Italia populista, né estremista né antieuropeista”. Il tema dell’Europa è stato quello su cui il probabile candidato premier m5s ha affondato di meno, andando incontro alle posizioni degli astanti. Per Di Maio il movimento ha il merito di aver scatenato il dibattito sulla politica monetaria con il referendum sull’euro, ma “noi non vogliamo uscire dall’Europa”. I temi del discorso sono gli investimenti tecnologici e la mobilità sostenibile, l’austerità da rivedere, ben sapendo che “la lotta agli sprechi non basta”. Sul versante elezioni, Di Maio ha affermato che a suo dire non si cambierà la legge elettorale ma, in ogni caso, se il movimento dovesse essere il primo partito chiederebbe l’incarico di governo a Mattarella.

Il segretario della Lega ha avuto, invece, un atteggiamento diverso. Ha mantenuto la linea sui suoi cavalli di battaglia, direttiva banche sbagliata, austerità sbagliata, immigrazione, Europa. Sicuramente il tono è stato più accomodante rispetto al discorso di due anni fa, dove essendo più lontani dalle elezioni si potevano anche assumere comportamenti più al limite, ma Salvini non ha dato l’impressione di voler dimostrare di essere in grado di governare; lui ne è convinto e lo vuole fare a modo suo. Sicuramente, però, sa di avere l’obbligo di ripulire la sua immagine, cercando anche lui di apparire come più istituzionale, costruttivo invece che distruttivo. Deve convincere l’elettorato che non lo considera l’altezza, più un bravo arruffa popolo che uno statista. Lui stesso ha dichiarato di aver studiato molto e di non voler fare una sfilata, ma presentarsi come il prossimo presidente del consiglio.

La posizione antisistema che i due partiti sostenuto avuto negli ultimi anni hanno permesso una forte crescita in termini di voti garantendo una base elettorale che non si disperderà, fortemente affascinata dalle idee populiste e sicura che tutto il sistema sia marcio e da rifondare. Ma per vincere le elezioni entrambi dovranno scavare anche sacche di voti anche negli elettori più moderati, nei burocrati, nei centri di potere. Non tanto in termini di numeri o percentuali di gradimento, ma per riuscire a realmente governare, una prospettiva, per i due schieramenti, neanche lontanamente immaginabile fino a cinque anni fa.

Michele Damiani