Le donne “violate” di La Ruina / Personale di 3 giorni contro il “femminicidio” – Teatro Quarticciolo

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Di Redazione Metropolitan

Oggi si celebra la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne e il Teatro Quarticciolo ha voluto regalare al proprio pubblico tre spettacoli sul tema, tre capolavori indiscussi, tre tracce di senso civile.

Saverio La Ruina – dal web

Saverio La Ruina è il drammaturgo vivente più immenso nel saper regalare alla platea colpi allo stomaco talmente profondi capaci di restare addosso per anni. Il suo teatro, semplice, racchiude nelle sue “storie” personaggi di una delicatezza inarrivabile, donne del sud arrese ai propri destini fatti di tragedie. Donne finite, abusate, calpestate. Vive, però, nella potenza rappresentativa del teatro.

Dissonorata – foto Angelo Maggio

In Dissonorata (Premio UBU 2007 “Migliore attore italiano”, Premio UBU 2007 “Migliore testo italiano”, Premio Hystrio alla Drammaturgia 2010, Premio ETI – Gli Olimpici del Teatro 2007 – Nomination “Migliore interprete di monologo”, Premio Ugo Betti per la drammaturgia 2008 – “Segnalazione speciale” e Premio G. Matteotti 2007 – “Segnalazione della commissione”) la protagonista (Pascalina) è una donna del Sud che racconta la trasfigurazione di un amore in un incubo: la donna “rotta” da quello che tutti chiamano affetto subisce la violenza della propria famiglia, il suo onore macchiato dal sesso viene condannato con l’ustione del volto.

Una cattiveria senza giustificazioni, una legge mai scritta per punire la libertà. Il racconto di La Ruina disegna l’innocenza della donna e le sue parole sembrano una ballata, soave, fino al momento crudele della sottomissione senza possibilità di difendersi.

Dissonorata è un capolavoro, un manifesto indiscusso alla salvaguardia della libertà femminile. Le strofe della recitazione di Saverio La Ruina sono abilmente guidate dai fiati musicali del maestro Gianfranco De Franco, colonna sonora perfetta per accarezzare la vita sottile della povera protagonista.

Dissonorata – foto Angelo Maggio

Il monologo La Borto (Premio Ubu come Migliore testo italiano e Premio Hystrio per la Drammaturgia) è (cronologicamente) il secondo fortunatissimo esperimento sul tema, in questo racconto La Ruina, sempre nel suo dialetto calabrese melodioso e carico di gerghi radicati a rendere vive le immagini raccontate, ci presenta Vittoria, una donna data in sposa a 13 anni ad un uomo brutto che non ama da cui ha già avuto sette figli.

Il meccanismo del parto non voluto e reiterato viene narrato con il solito melodioso contraltare musicale (Gianfranco De Franco, di spalle, non spia la vicenda, si limita a colorarla di note) finché la tragedia (l’aborto) appare raccontata con tanta crudezza quanta incoscienza possa concepire una mente dilaniata dalla sofferenza.

Ferri arrugginiti e nessun antibiotico, il ventre della donna è ancora una volta violato, non più dalla carne ma dalla rudezza di un’altra donna che “raschia” via il feto. La donna ancora una volta vittima della società maschile rinuncia a se stessa, esprime la libertà e ne paga le conseguenze atroci.

Il monologo assume livelli onirici quando la protagonista sogna un dialogo con un Cristo silenzioso che non da nessuna risposta. Le lacrime cascano nello stesso momento in cui si ride.

La Borto – foto Angelo Maggio

Polvere (Premio Lo Straniero 2015, Premio Enriquez 2015 alla Drammaturgia, Premio Enriquez 2015 Miglior Attore, Premio Annibale Ruccello 2015 alla drammaturgia) non appartiene alla trilogia dei monologhi (con Italianesi, Premio Ubu come Migliore attore per l’interpretazione) di cui fanno parte Dissonorata e La Borto.

In questo spettacolo La Ruina non è da solo in scena: si sveste dai panni “femminili” delle sue eroine del sud e smaschera il suo teatro anche di quel dialetto calabrese irrobustito e conclamato nella prova attoriale di Italianesi. In Polvere, La Ruina sceglie di mostrare la donna in carne, ossa e corpo (bravissima Cecilia Foti, al suo fianco) e lui disegna per sé il ruolo del Maschio.

Un maschio che morde, con le parole e con le invasioni gelose da Otello del sud, la vita della sua compagna, condannata a dover subire le continue superbie paranoiche dell’uomo.

Una storia, apparentemente d’amore, che si sbriciola sotto ai colpi violenti delle parole, una forma di violenza ben più nociva di quella fisica: uomo e donna racchiusi nel rettangolo amoroso di una casa-prigione si annientano a vicenda, o meglio, lui annienta lei supponendo e investigando ogni dettaglio della sua vita passata.

La coppia si cela, rattrappita e ingabbiata, sotto al manto polveroso della diffidenza: uomo reo e donna succube. Antipasto crudele, nella visione di La Ruina, del culmine di tante tragedie di cronaca nera in cui spesso la donna, spenta e impolverata, subisce addirittura l’omicidio.

Troppo pochi i Premi ricevuti per commisurare la potenza interpretativa, drammaturgica e sociale di questi splendori del Teatro Italiano. Saverio La Ruina è e sarà indiscutibilmente uno dei Maestri e dei vanti della nostra Italia nelle epoche a venire.

Saverio La Ruina e Cecilia Foti – dal web

Complimenti al Teatro Quarticciolo, che ha innescato questa trilogia sul “femminicidio” nel periodo della ricorrenza della giornata a ricordo di tutte le donne (repliche il 22, 23 e 24 novembre) violate dal sopruso maschilista, familiarista o sociale.