Il cantautore romano Flavio Giurato rompe il silenzio con un nuovo disco di inediti. Disponibile dal 5 ottobre, l’album “Le promesse del mondo” ricalca la speranza e la miseria del fenomeno dell’immigrazione.
PHODO CREDITS: Ufficio Stampa Sporco ImpossibileDopo due anni dall’ultimo album Flavio Giurato torna sulla scena con un nuovo esperimento, edito con l’etichetta Entry; Giurato è sicuramente il segreto meglio custodito della scena cantautorale italiana, e a nascondersi è spesso lui stesso; forse per quella sua tendenza a rifiutare il tempo del mercato rispetto alla sua ubbidienza alla sola legge del sentire, pensare, volere. E così ha sempre abbandonato le logiche del sistema per rispondere al solo richiamo di riflessione e ispirazione.
E’ un uomo che canta quando c’è da raccontare, decisamente più un cantastorie che cantautore. E che quelle storie poi sa dipingerle a poesia e buona melodia è un bel talento da mestiere.
Chissà se è giusta la mia sensazione, che a Flavio Giurato poco importi che la sua barba bianca da bonaccione, gli occhi scavati e le gambe magre magre, vengano riconosciute per le strade di Montesacro e i marciapiedi della sua città: e che più che la sua faccia, è grande ricordarsi le sue storie musicate.
Sarà per questo che in “Le promesse del mondo” il cantautore romano si nasconde nei dialetti di città che neanche gli appartengono: confondersi dal romano al napoletano, nell’inglese e castigliano, per sorprendere un pubblico che si chiede chi sia quella voce che canta a tono basso o per far perdere le tracce del proprio idioma e lasciare che le luci riflettano solo la verità della canzone.
Un album che passeggia tra il pathos e la carezza di una forza umanitaria, di una grinta sociale: è una voce sola, quella di Giurato, che si fa coro di partigiani, immigrati, clandestini, uomini al margine – e non solo al confine- che voce non hanno. “Le promesse del mondo” è un concept album che raccoglie più fatti che parole, un tentativo di fare storia fuori dalle righe. Non è un album che parla di uomini, è un album che racconta l’uomo, quello singolo, quello che arranca, che domani parte e non sa più né quello che lascia né quello che trova.
Copertina dell’album “Le promesse del mondo”In una metrica slegata e ribelle, Giurato passeggia tra le epoche con i piedi scalzi e sporchi di terra (e questa è una silenziosa metafora) per raccogliere le storie di chi tenta di “ andarsene da uno stato di cose che confina e concentra un’intera generazione nel lavoro precario e nei centri d’accoglienza” come lui stesso spiegava nella presentazione del primo singolo “Soundcheck”. Canzone questa che, più di tutte, accarezza il tema del tempo e, ancora di più, di quanto questo cambi la faccia della storia. Cos’è la storia in fondo, se non la migrazione di valori e idee che, figlie del tempo, non trovano più spazio nei luoghi della memoria.
E allora questi nuovi versi di Flavio Giurato incarnano quel sottile eterno mistero: lo scorrere del fiume. “E il fiume scorre. Scorre fino al mare” è la sintesi dell’idea del cambiamento, del viaggio, e quindi anche della migrazione. “Nel disco il fenomeno è preso a tutte le latitudini e longitudini ed in diverse epoche storiche, dall’antica Roma alla Seconda guerra mondiale, dai Balcani degli anni ’90 fino al Messico e al Mediterraneo dei nostri giorni”. E’ il gioco complesso di raccontare la verità e l’inganno.
Ancora di più che nel passato album “La scomparsa di Majorana” si ascolta in questo disco l’eco della voce narrativa di Flavio Giurato, e forse sarebbe semplice dedurla anche dalla durata di ogni singola canzone. E’ un’intensa urgenza di parola, quando parlare vuol dire comunicare. In quella che è una melodia di sottofondo, su un morbido tappeto di strumenti musicali, è soprattutto la parola del cantautore a dare forma alla propria musica. E’ già solo la sua voce, parlata più che cantata (non a caso): la musica del disco.
Con il suo ritmo narrativo e incalzante, tra chitarre e qualche accenno di elettronica come in Soudcheck o in Le promesse del mondo, Flavio Giurato guarda al nodo centrale dell’album- l’immigrazione- da prospettive differenti ma convergenti. Con un tono critico e coraggioso, lascia scivolare l’intento di incoraggiamento dietro ritmi decisi e intensi.
Chissà dove si era nascosto Flavio Giurato, forse nei bar dove continuava a suonare la sua chitarra nonostante non ci fosse un palco e cento sedie, mentre scriveva ancora le sue canzoni senza che nessuno ancora le scoprisse. Se il suo cognome è qualcosa di ben conosciuto, la sua musica è una magia da scoprire. E Flavio non corre i tempi per farlo in fretta, per farlo per tutti. E’ questa l’arte, è questo il vero Indie. E’ seguire i propri tempi, mai il tempo.
Rossella Papa