Nello spazio di LetteralMente donna una donna eccezionale che ha lottato pagando con la vita contro la ndrangheta testimoniando contro la sua stessa famiglia. Il suo nome è Lea Garofalo e questa è la sua storia
Lea Garofalo, l’infanzia e la scelta di dire no alla ndrangheta
“Il sangue si lava con il sangue” cosi, come riportato da Enciclopedia delle donne, la nonna diceva sempre alla piccola Lea Garofalo che a soli 9 anni ebbe l’ordine dal fratello Floriano di togliere la pistola sotto il cuscino a causa di una retata delle forze delle ordine. È la stessa età in cui la piccola Lea rimase orfana del padre che sarà poi vendicato dal fratello divenuto un boss in un altra faida mafiosa. È questo l’ambiente familiare malato dove Lea Garofalo è cresciuta. Quel modo di vita che non aveva assolutamente voluto per la figlia avuta ad appena 17 anni.
Racconta infatti, come riportato da Fanpage, il suo avvocato Enza Rando, che Lea Garofalo era “era una persona intelligentissima. Leggeva molto. Era sempre molto lucida nei suoi ragionamenti. Più di ogni altra cosa amava sua figlia. Il suo unico pensiero era quello che la figlia studiasse perché sapeva che solo la scuola ti può far alzare la testa e dire di no. Mi ripeteva spesso, ‘fatela studiare’. E così Denise ha fatto“.
La Garofalo infatti, afferma la Rando, “voleva evitare a Denise la vita che aveva subito lei e che per questo avrebbe voluto andarsene via, per cambiare vita. Sognava l’Australia, o comunque un luogo sicuro dove poter voltare pagina. Insisteva molto sul fatto che lei portasse a termine gli studi”. Per questo nel 2002 dopo essersi trasferita a Bergamo, in seguito al rogo della sua auto voluto dal fratello Floriano come avvertimento, la Garofalo decise di collaborare con la giustizia.
La protezione dello Stato e la morte nel 2009
Per le sue rivelazioni coraggiose e la testimonianza contro la sua stessa famiglia Lea Garofalo e la figlia Denise vengono messe sotto protezione. È un provvedimento però a tempo perchè nel 2005, dopo l’uccisione del fratello Floriano, la Garofalo venne estromessa dal programma di protezione perchè si riteneva non fosse più in pericolo di vita. Lea Però non si è arresa e vincendo il ricorso al Consiglio di Stato ritornò sotto protezione fino al 2009 quando lei stessa, fiaccata moralmente ed economicamente, decise di estromettersi. In mezzo la lotta contro una famiglia ed un modo di essere che non voleva più e le rivelazioni sulla faida tra la famiglia Garofalo e quella del suo ex compagno
Carlo Cosco, il padre della figlia Denise.
Dopo l’uscita dal programma di protezione Lea Garofalo si trasferì a Campobasso dove subì un tentativo di omicidio da parte dell’ex marito. Ricorda Enza Rando di aver incontrato la Garofalo quando “aveva già subito il tentato omicidio a Campobasso. Lei aveva denunciato, era spaventata e sapeva che a organizzare l’agguato era stato l’ex compagno. Lo aveva capito, mentre tutti gli altri ancora no. Lo confermeranno poi le indagini più avanti”. Lo stessa avvocato aveva consigliato alla Garofalo di incontrate l’ex compagno quel drammatico 24 novembre 2009 quando venne brutalmente assassinata e il suo corpo sciolto nell’acido e bruciato per giorni.
La battaglia di Denise
“Di me si parlerà quando non ci sarò più”, ha affermato Lea Garofalo. Dopo la sua morte il coraggio di questa donna è stato un esempio per molte altre donne e non solo. La sua battaglia adesso viene portata avanti dalla figlia Denise che vive sotto protezione dopo aver testimoniato con il padre e la sua famiglia al processo per l’assassinio della madre. La stessa Denise ha dichiarato in occasione dei funerali pubblici della madre svoltisi a Milano il 29 ottobre 2013 che “la mia cara mamma, ha avuto il coraggio di ribellarsi alla cultura della mafia, la forza di non piegarsi alla rassegnazione e all’indifferenza”.
Stefano Delle Cave
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