La famosa frase di Evelyn Beatrice Hall: “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perchè tu la possa esprimere” ‒ erroneamente attribuita in seguito a Voltaire ‒ racchiude il significato della libertà di stampa e pensiero. Ma l’Italia e il resto del mondo la pensano allo stesso modo sulla libertà di stampa?
Non al top rispetto al resto del mondo
La classifica annuale che valuta lo stato del giornalismo e della libertà di stampa vede l’Italia crollare al 58° posto. Il “World Press Freedom Index” ci dice che tira una brutta aria. Un crollo in classifica di ben 17 posizioni su scala globale rispetto al 2020 e 2021. Attualmente, il paese si trova indietro perfino a paesi del continente africano come Gambia e Suriname. Il dato dovrebbe far riflettere.
L’Italia è un paese che può vantare uno sconfinato bagaglio culturale. Patria di inventori, artisti e costruttori, può davvero essere così arretrata dal punto di vista del giornalismo? Ebbene sì. Un controsenso che lascia perplessi. Il cambio di rotta è avvenuto a partire dal 2017. Fino all’anno precedente, la tendenza era in senso contrario. Ma ci sono delle cause che hanno innescato l’inversione?
Libertà di stampa autolimitata
Secondo il report prodotto dalle interviste rilasciate in forma anonima dai cronisti, la censura è avvenuta di spontanea volontà. I giornalisti hanno scelto autonomamente di autocensurare il proprio lavoro. Il motivo? Probabilmente la paura. Paura di ricevere dei richiami o di non poter praticare la professione. Secondo i giornalisti che hanno tirato il freno a mano, è meglio non esprimere il proprio parere tra le righe.
Scottati forse anche dalle limitazioni e dai provvedimenti disciplinari attuati in altri campi ‒ come ad esempio medici e insegnanti ‒ che hanno apportato una notevole sensibilizzazione nei confronti dell’audacia. Una fiamma che si sta forse spegnendo e che certamente in ambito culturale e di libertà di pensiero procurerà dei traumi nella tradizione giornalistica italiana.
Libertà di stampa e legge
Le leggi per quanto possa sembrare strano (e a volte ingiusto) vanno rispettate. Ma nel caso del giornalismo, la legalità pone un freno ulteriore che paralizza in modo considerevole l’attività e i professionisti ad essa legati. Il rapporto citato in precedenza, evidenzia una “paralisi legislativa”. Molti i progetti di legge che non hanno trovato concretizzazione.
Si ha come effetto la perdita di tutela dell’attività giornalistica. Uno dei tanti problemi riscontrati, è il sistema che funziona troppo a “compartimenti stagni”. Per le testate giornalistiche e per i professionisti, appare sempre più difficile accedere ai dati detenuti dalle istituzioni statali.
Un mestiere pericoloso
Ebbene, anche se potrebbe sembrare il contrario, il giornalismo è diventato un mestiere ultimamente molto pericoloso. Effettuare attività di giornalismo, soprattutto sul campo, è divenuto complicato e problematico. In un periodo di forte dissenso sociale e grande diffidenza verso le istituzioni, risulta difficile portare a termine il lavoro senza complicazioni.
Scrivere un articolo particolarmente “piccante” o lanciare la battuta provocatoria che accenda il dibattito, fa temere i professionisti per la propria incolumità. Molti sono stati i giornalisti oggetto di aggressioni verbali e fisiche e la paura e la mancanza di serenità arrecano danni a ogni professione.
I media e la “libertà vigilata” di opinione
L’autocensura giornalistica fa da amplificatore al sistema di autoregolamentazione politicamente corretta di molte testate giornalistiche e dei media nazionali. Divenuto quasi obbligatorio trattare o meno di certe tematiche più o meno scomode, ha lasciato il segno. La “paura” di ricevere un qualche tipo di richiamo o sanzione ha costretto le redazioni a navigare con l’ancora sul fondo.
Purtroppo, non ne giova l’attività e contestualmente anche i professionisti sono sempre più restii nello sbilanciarsi, molte volte costretti a manipolare in modo più o meno profondo una notizia per questo o per l’altro motivo. Questo per quanto riguarda l’Italia. Nel resto del globo, vediamo i paesi scandinavi sul podio. La classifica è guidata dalla Norvegia, mentre subito dietro la Svezia.
Tirando le somme, in tutto il mondo mendo di dieci paesi possono vantarsi di avere una completa libertà di stampa ed espressione mentre la restante parte (che ricopre più del 70% della torta) è soggetta a grandi limitazioni. Considerato che l’ultimo posto nella classifica è detenuto dalla Corea del Nord, terrorizza l’idea di proseguire la tendenza raggiungendo ‒ in termini di libertà e la speranza non è certo questa ‒ la nazione dove il diritto di parola e pensiero sono praticamente defunti.