Benvenuti nell’universo femminile di LetteralMente Donna. Faremo un viaggio tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo alla scoperta di una donna eccezionale. Parleremo di avvocatura, di leggi ed emancipazione femminile. Abbiamo dedicato la puntata di oggi a Lidia Poët e alla sua battaglia per diventare avvocata
“La grande forza ch’essa diede nel superare tutti quegli ostacoli che ancor si oppongono alla donna perché ella possa, pari al suo compagno, darsi, quando la vocazione e l’intelligenza superiore ve la chiamino, agli studi scientifici, letterari, a quegli studi in una parola che furono e pur troppo ancora sono riservati esclusivamente all’essere privilegiato che si chiama uomo”
Cosi La donna, un giornale femminista dell’epoca, parlò della laurea in legge con il massimo dei voti di Lidia Poët. Parole in cui già si evince la grande importanza di una donna che era andata oltre i limiti dell’epoca imposti all’universo femminile conseguendo una laurea in legge e che si apprestava a fare qualcosa di epocale. Fu la prima donna infatti ad entrare nell’Ordine degli Avvocati a cui seguì una lunga e dura battaglia per l’esercizio della professione contro il pregiudizio maschile dell’epoca nonostante gli esami superati e le sue indiscutibili doti. Fu infatti abilitata solo a 65 anni ma non aveva mai smesso di esercitare la professione al fianco del fratello.
Lidia Poët e la battaglia per la professione di avvocato
Tutto iniziò il 9 agosto del 1883 quando Lidia Poët divenne la prima donna ad essere iscritta all’Ordine degli avvocati a Torino dopo l’approvazione della sua istanza con richiesta di iscrizione. Due uomini si opposero fermamente suscitando un grande clamore con le loro dimissioni dall’Ordine. Si trattava dell‘avvocato ed ex ministro dell’Interno Desiderato Chiaves e del politico Federico Spantigati. Questo suscitò un enorme clamore ed era un evento dovuto al fatto che all’epoca molte professioni erano ingiustamente negate alle donne tropp spesso soggette ad autorizzazioni maritali. Per questo il Procuratore generale del regno scese in campo facendo ricorso alla Corte di Appello di Torino che ordinò di cancellare la Poët dall’albo degli avvocati con la seguente motivazione:
“La questione sta tutta in vedere se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria (…). Ponderando attentamente la lettera e lo spirito di tutte quelle leggi che possono aver rapporto con la questione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine (…)”
L’incredibile sentenza della corte di Cassazione
La Poët però non si arrese e presentò un acceso ricorso alla Corte di Cassazione di Torino appoggiata da molti intellettuali e quotidiani nazionali. Nonostante questo la Cassazione confermò la sentenza della Corte d’Appello sulla base di motivi legali e di assurdi stereotipi maschili. In particolare gli oppositori della Poët tirarono in ballo un motivo medico ed uno legale. Per il primo si sosteneva che una donna non avrebbe potuto legittimamente esercitare la professione legale a causa del ciclo mestruale. Evento che per una settimana al mese non avrebbe dato lo loro la serenità richiesta.
Il secondo era dovuto al fatto che le donne all’epoca non avevano gli stessi diritti legali degli uomini. Due principi contro cui i movimenti femministi e progressisti dell’epoca si scagliarono parlando di superstizioni e pregiudizi e di una normativa che andava rivista e corretta favorendo un’eguaglianza sociale. Una spinta in questa senso era data dalle innumerevoli donne che sull’esempio della Poët si laureavano in legge e che volevano diventare avvocati.
Al fianco di detenuti e donne
Nonostante il rifiuto della Cassazione Lidia Poët non si fermò. Oltre che ad esercitare la professione accanto al fratello che firmava tutti gli atti al posto suo, si distinse nei congressi penitenziari internazionali. Qui lottò per l’istituzione dei tribunali dei minori e per la concezione di una pena detentiva in cui il condannato potesse riabilitarsi attraverso educazione e lavoro. È stata anche un’attivista per i diritti delle donne partecipando al Consiglio Nazionale delle Donne Italiane fin dalla sua fondazione nel 1903. La Poët è infine diventata effettivamente avvocato solo nel 1920, a 65 anni, dopo l’approvazione della legge n.1179 del 17 luglio 1919 che aboliva l‘autorizzazione maritale e apriva alle donne quasi tutti i pubblici uffici tranne la magistratura, la politica e le cariche militari.
Stefano Delle Cave
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