Lina, 93 anni con i suoi occhiali, che ognuno riconosce, come se dovessero restare gli unici sul volto di una donna. Indossati non per darsi arie di superiorità, non per calarli sul naso come da intellettuale annoiato, ma volendo cercare una nitidezza con lo sguardo. Con quel bianco, simbolo della purezza, che vagamente ricorda un’anima vacanziera, a incorniciarne lo sguardo solare. Ci ha lasciati stamattina dopo aver dedicato un vita al cinema. Arcangela Felice Assunta Wertmuller von Elgg Spanol von Braueich, il nome alla anagrafe lungo, insolito e civettuolo, quanto i titoli dei suoi film.

La prima donna candidata all’Oscar come migliore regista. Che sembrerebbe un uomo, per grinta, per la vena energica e il coraggio graffiante delle sue pellicole. Dove la determinazione di Lina Wertmüller, è impressa e vivida. Nei suoi film intessuti di sud, di teatro e televisione. Una vita da scugnizza di fronte la quale, anche New York, la celebre metropoli diffidente, apparentemente fredda, si è fermata per tributarle onori e glorie. Con l’Oscar alla carriera, a 91 anni, nella cerimonia dell’Academy Awards. “L’Oscar è maschilista. Chiamatelo Anna!“. La sua prima nomination per un Oscar è del 1976 con “Pasqualino Settebellezze“. Pur non vincendolo. “L’America è una cosa seria“, pronuncia nel suo discorso di ringraziamento al pubblico americano.

Lina Wertmuller, l’America l’ha amata

Emozionata ma combattiva, decisa a non cedere ai battiti del cuore, quella sera del tributo dal palcoscenico più ambito del cinema, rivela che ama tutti coloro che hanno adorato i suoi film. E li considera dei figli. Ricambiando il bene e l’affetto, a lei rivolto, anche semplicemente appassionandosi ad una sua proiezione, o ricordandosi una sua trama. Ma sarà così facile innamorarsi di quelle sceneggiature, teneramente borghesi con spasmi di poesia. Incorreggibile, curiosa ed estroversa, ha avuto innumerevoli amici, tra quelli scelti e gli altri che la vita per gioco l’ha portata ad incontrare. Franco Zeffirelli fu il primo a darle fiducia come autrice teatrale, e a cui rimase sempre amica. E presto il carattere allegro e positivo di Lina Wertmüller, forse la sua eccessiva eccentricità e quel pizzico di esagerazione, la portarono nel mondo del cinema.

Iniziò a creare film storici, politici, passionali ritratti grotteschi della società e del suo tempo. E i premi ricevuti diventavano secondari in confronto alle sensazioni che regalava al pubblico. “Mi fa molto piacere essere riconosciuta dai tassisti di Sydney, New York o Tokyo“, rivelava Lina Wertmüller. Quando nella loro lingua o improvvisando un dialogo, cercano di farle capire che hanno visto, riso e pianto con i suoi film. Lei che come i più grandi registi, scrive le storie da se. E saranno divertenti e commoventi insieme, semplici da cui cogliere l’essenzialità. Con i personaggi rappresentati nelle loro debolezze, caricature di una società intera.

Ispirazioni felliniane

Un’artista attenta e sensibile, Lina, capace di farti sognare in una ambientazione di borgata, tanto quanto nei palazzi principeschi e nobili. La ricorderemo per “I Basilischi”, pellicola ispirata al paese d’origine di suo padre, che si chiama Palazzo San Gervaso; “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, “Film d’amore e d’anarchia”, “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto“, “Pasqualino Settebellezze”, che ottiene ben 4 nomination all’Oscar riuscendo a far ridere anche con il simbolo più tragico di questo secolo, il campo di concentramento. E ancora, ” Io speriamo che me la cavo”, “Ferdinando e Carolina” e “Francesca e Nunziata” con Sophia Loren. Nel 1978 la Wertmuller ottiene anche un altro primato: entra nel Guinness per il titolo del film più lungo della storia, “Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova“. “I produttori volevano titoli brevi perché secondo loro funzionavano di più, e io invece glieli facevo lunghi. Per uno scherzo quasi ottocentesco; mi divertiva che non se li ricordassero tutti”, rivelerà la regista.

Con lo spirito selvaggio di sempre, ha raccontato conflitti sociali, il passato oscuro della nazione, e la politica. Fu allieva di Fellini, come assistente scenografa in “8 1/2″.Ricordati che ognuno ti dirà cosa fare, tu non ascoltare“. L’insegnamento del maestro riminese, e ne farà sua anche la chiave surreale e la fantasia sconfinata. La curiosità, sua compagna di strada, e il sarcasmo, le sue qualità migliori. Lei che era nata e viveva a Roma. Ma come un caratteristico ragazzaccio partenopeo. Dove il ‘rafforzativo’ indica solamente, la sfrontatezza propria della giovinezza. Che pare, però, non l’abbia abbandonata mai. Con lo sguardo sfacciato a testa alta contro il mondo, che non pecca mai di esuberanza ma ti inebria di accogliente simpatia. L’ironia ha trasformato il suo lavoro in gioco, così gli anni della signora del cinema italiano sono trascorsi. C’è quell’eterna gioventù che la contraddistingue. Quell’anticonformismo elegante che l’ha resa originale. Perché, non assomiglierà a nessuno chi vorrà essere ricordato come unico. Resterai semplicemente Lina.

Federica De Candia. Seguiteci Su MMI e Metropolitan cinema