Lina Wertmuller, dopo il premio Oscar alla carriera, continua a far incetta di riconoscimenti con il “Premio Kinéo”. Tale premio, assegnato dal 2003 nella iconica cornice di Venezia, giovedì 7 novembre 2019, ha visto lo spostamento della propria sezione dedicata al cinema nella Capitale.
La gentile Rosetta Sannelli, una delle organizzatrici, ci ha subito accolti all’ingresso del Consiglio Regionale del Lazio – sede dell’evento – per raccontarci un po’ tale scelta. Infatti, lei e l’altro organizzatore: Paolo Rossi Pisu, hanno pensato di rendere omaggio a quella che è la Città del cinema Italiana, trasportando in essa parte di questo premio. La premiazione si è svolta pressoché a porte chiuse nell’aula principale, vestita, per l’occasione, con una locandina che omaggiava l’ospite speciale di quest’anno: Lina Wertmuller.
Come raccontatoci dalla signora Sannelli, l’illustre regista Romana, la settimana precedente, si è vista assegnare il premio Oscar alla carriera. Anzi, in ossequio a lei, lo chiameremo «premio Anna», come lo ha ribattezzato lei parlando all’Academy. La regista romana, da sempre paladina di un nostrano femminismo, criticò per anni il nome «Oscar» dato al premio – nome non ufficiale –, giacché considerato inutile, superato e vagamente maschilista.
Con il restauro operato al capolavoro del ‘75 “Pasqualino Settebellezze”, Paolo Rossi Pisu, Rosetta Sannelli e la stessa Lina Wertmuller, si sono diretti a Cannes dove, oltre al suddetto lungometraggio, sono stati proiettati “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” e “Mimì metallurgico ferito nell’onore”. La tappa successiva è stata Los Angeles, in un tourbillon di viaggi, interviste e premiazioni nelle quali, secondo ciò che ci ha raccontato la signora Sannelli, la Wertmuller – novantaduenne – pare non essersi affatto stancata.
Le è stato concesso di recuperare un po’ di sonno proprio in occasione del premio Kinéo – al quale è arrivata un’ora dopo –, giacché, prima del suo momento, si sarebbe tenuta la consegna degli altri premi ai vari autori lì presenti. Tra i vari nomi illustri, spiccavano quelli di Marcello Foa, presidente della Rai, la quale ha patrocinato la manifestazione; di Pupi Avati, premiato assieme a Tommaso e Antonio Avati, per il loro ultimo film “Il signor diavolo”, ritorno del presidente di Cinecittà al genere con cui il suo cinema vide i natali: l’horror.
Tra gli ospiti figurava anche Caterina Varzi, moglie di Tinto Brass, uno degli illustri registi premiati. Costei ci ha ragguagliati anche sulle condizioni del maestro milanese, rimasto a casa per via della propria salute cagionevole, la quale, come dettoci dalla signora Varzi, è stazionaria e non così grave come parecchi giornalisti l’hanno dipinta.
Presente anche il grande Adriano De Micheli, che diresse “Profumo di donna”, film che tutti dimenticano in favore del remake “Scent of woman” con protagonista Al Pacino del 1992. De Micheli, durante la premiazione, ha raccontato un aneddoto sul suo capolavoro, all’epoca denigrato da diversi registi per via della cecità del protagonista, considerata da molti, un azzardo narrativo.
Una serata di premiazione come tante, quindi, ma con l’aggiunta di alcune riflessioni sul mondo del cinema e sulla sua necessità di esser riportato alla libertà che riuscì a dare pieno spazio ad autori quali la stessa Wertmuller. Importanti le parole di Michele Lo Foco, membro del comitato, il quale, in merito alla situazione del cinema in Italia, si esprime così:
La cosa importante della premiazione di oggi è il riconoscimento del cinema “storico”, perché, oggi, noi stiamo premiando colonne del cinema storico. Adriano De Micheli, Pupi Avati, Tinto Brass… sono ancora i rappresentanti di un cinema solido, importante. Un cinema autorale ma portato verso il pubblico. E questa prerogativa del “cinema importante”, oggi è venuta meno. Perché il cinema di una volta, figlio di una precedente legge, era un cinema libero. Si facevano film quando dovevano essere fatti; scritti nel modo giusto, recitati nel modo giusto. Li si facevano quando avevano delle basi importanti. Erano film che duravano nel tempo, costruiti su sceneggiature che avevano una grande validità. Questa prerogativa si è un po’ persa. Si è andati verso un cinema più burocratico, più legato, più condizionato – diciamo la verità –. C’è differenza tra essere dei promotori del cinema ed essere i padroni del cinema. La differenza è che se si è promotori e se si vuole accompagnare il cinema, quel cinema è ancora libero, mentre, quando il cinema è posseduto dalle strutture, perde questa capacità. Gli attori diventano convenzionali, sempre gli stessi. Il cinema diventa di routine, con i soggetti che ripetono degli schemi che sono sempre gli stessi. Si crea una specie di clan e i produttori diventano “schiavi” delle strutture che li finanziano. Quando questo problema diventa generale, costringendo tutti a subirlo, allora il cinema perde la sua libertà e la capacità di essere “nuovo”. La personalità del regista, quando è lasciato libero, viene fuori. Oggi bisogna stare attenti: il cinema italiano deve ritrovare quella libertà che ha consentito non solo ai produttori e ai registi di diventare importanti. Ricordiamo che la Wertmuller non è stata tenera coi propri attori, sgridandoli spesso e volentieri, ma sempre con cognizione di ciò che diceva. Voleva fare prodotti diversi e, così facendo, ci è riuscita. E, non a caso, ha ricevuto l’oscar».
La serata, dopo l’arrivo di Lina Wertmuller, si è conclusa con una sorta di «dialogo tra amici», con protagonisti i vari membri del comitato e gli invitati, rimasti a chiacchierare goliardicamente. Un’ottima rassegna che ha omaggiato il cinema italiano, con i vari ospiti che hanno espresso anche un occhio di riguardo verso il futuro del cinema, sperando in una rinascita.