Linguaggio e Politica: sulla “Camera dei Deputati e delle Deputate”

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Di Maria Paola Pizzonia

Tra dichiarazioni inedite dei diretti interessati e qualche spunto di riflessione, parliamo del linguaggio nella politica italiana a partire dalla provocatoria proposta di inclusione di genere a Montecitorio.

Mai come in questo momento storico, il tema della parità di genere è diventato una delle questioni al centro del dibattito politico quotidiano, amplificato anche dagli effetti negativi che la crisi. Ciò ha implicato delle conseguenze per la popolazione femminile.

Servono allora segnali, provenienti da ogni ambito e settore operativo: economia, società civile, politica e istituzioni.

Una premessa sulla politica:

Proprio in quest’ultimo comparto sembra esserci una sempre maggiore pulsione verso il cambiamento. Ma vediamo meglio di che tipo di proposte si tratta quando si parla di cambiamento. Vediamo definirsi proposte normative indirizzate verso una maggiore sensibilizzazione. Ma non solo. Verso anche una propensione al raggiungimento di una vera parità di genere.

A volte si tratta di misure concrete, altre volte di piccole provocazioni che vogliono dare uno scossone all’immobilismo apparente sul tema dell’uguaglianza di genere: tra queste, una su tutte rimarca l’importanza della lingua nella definizione di un cambiamento culturale.

Abbiamo parlato la settimana scorsa di una proposta di legge. La posposta di legge costituzionale è nata per modificare la denominazione della Camera dei deputati in “Camera delle deputate e dei deputati”.

Una provocazione, mal digerita dalle forze più conservatrici di destra. Perché ovviamente non hanno colto il sotto-messaggio della proposta; e anzi hanno aizzato subito i forconi. Un colpo di scarsa dialettica, accentuato sottolineando che tale proposta non rappresenta una priorità per il Paese in questo momento d’emergenza.

Cambiare il linguaggio per cambiare la società, tramite provocazioni, confronti e proposte

Non è stato colto che la proposta di legge non intende minimamente essere considerata una priorità strategica rispetto ai – giustissimi – provvedimenti economici in risposta ai bisogni del Paese. Si è trattato semplicemente di un tassello, un paletto in una discussione simbolica più ampia, allineandosi alle numerose richieste di questi mesi per avere, ad esempio, una rappresentanza femminile più ampia nelle task force. Come pure ci ha voluto ricordare che le parole hanno un peso, sono forma e creano sostanza.


Siamo ormai consapevoli che tutta la discussione sulla parità di genere, sui diritti delle donne, sull’emancipazione definitiva femminile si ritrova ad essere condizionata dalla sovrastruttura culturale, dalle convenzioni sociali e spesso si scontra con una serie di luoghi comuni che permeano la nostra società e a cui siamo ormai abituati ed assuefatti. L’equilibrio di genere può essere raggiunto solo iniziando da un processo di sradicamento di tutte quelle convinzioni che quei tratti che abbiamo considerato elementi assodati della nostra vita quotidiana, nell’ottica di costruire nuove narrazioni di riferimento per ciò che può e deve essere considerato ‘normale’.

La scarsa rappresentanza politica delle donne in Italia:

Secondo il Global Gender Gap Index 2019 del World Economic Forum siamo al 30esimo posto su 149 Paesi in relazione alla presenza femminile in Parlamento, probabilmente anche grazie alle ‘accortezze di genere’ inserite nel 2017 con la riforma elettorale del Rosatellum.
Non si è pensato, però, che sentire parlare sempre di Camera dei deputati, induce alla reiterazione di una immagine al maschile della rappresentanza politica, rendendo inconsciamente ‘extra-ordinaria’ la presenza di tante colleghe in Parlamento.

Cambiare il linguaggio è cambiare la cultura:

Bisogna quindi lavorare per la promozione di un cambiamento di pensiero e culturale: si tratta di aggiungere una sola parola, ma il cambiamento di denominazione, nella sua semplicità banale, rappresenta un elemento che nel tempo indurrà a pensare alla Camera come un luogo in cui la rappresentanza è esattamente divisa a metà, tra donne e uomini. Nella migliore delle ipotesi, questa trasformazione potrebbe addirittura portare con naturalezza a rendere superfluo ogni riferimento alle quote rosaancora necessarie per assicurare la presenza femminile – poiché diventerebbe spontaneo pensare al bisogno di una equa presenza di deputate e deputati. Il segnale che parte dalle istituzioni vuole essere una miccia per attivare un processo di trasformazione culturale, assolutamente necessario per raggiungere la parità di genere.

Abbiamo già affrontato il tema del linguaggio, a noi molto caro. Siamo dispiaciute che non si comprenda la differenza tra tempistiche graduali e urgenza culturale, ma confidiamo nel cambiamento.

“A good girl is a Brave girl”

Mariella Pagliuca e Maria Paola Pizzonia

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