Come un residuo della Banda della Magliana, un gangster in vestaglia di lusso che guarda la Madonnina dal suo terrazzo. Santo Russo, del calabrese rimane solo il nome e le affiliazioni alla ‘ndrangheta. “Lo spietato” stasera in tv, la Mala sotto le note di Peppino Gagliardi.
“Che vuole questa musica stasera“, è il brano scelto nel prologo del film, che fu anche colonna sonora di “Profumo di donna” di Dino Risi. Sembra così delicato, e con palpabile malinconia, accompagna la Milano ‘da bere’ degli anni ’80, a cui guarda Santo. La faccia di un meridionale stabilitosi all’ombra del Duomo. Quattro passi e sprofonda nella nebbia. Non la lieve coltre della Padania, ma quella fitta della criminalità, degli affari sporchi, del traffico di eroina. Il rombo della sua Lamborghini, e lui che si presenta come imprenditore. Devoto solo all’oro e alla ricchezza, per cui sarà disposto a tutto.
Lo spietato dell’hinterland
Santo Russo, è a suo agio con il vocabolario milanese. Ti dice ‘testina’, e sembra Massimo Boldi più che un originario calabro. Parla di ‘umbrela’ come Iannacci, e il suo idioma caliente è completamente scordato. “Dai che facciamo tardi alla messa“, peccato che sia il loro codice per dire di affrettarsi in un colpo, e nessuna remissione. Di cattolico nel film c’è solo la moglie di Santo (Sara Serraiocco). Che inizierà presto a comprendere chi ha sposato.
Renato De Maria è il regista de “Lo spietato“, film del 2019 stasera in tv, tratto dal libro “Manager calibro 9” di Piero Colaprico e Luca Fazzo, ispirato alla storia vera del criminale Saverio Morabito. L’adattamento cinematografico ha voluto una voce narrante fuori campo, ad accompagnare e spiegare le azioni. E sembra suggerire una certa ironia, e toni leggendari ed epici, ad imprese che di eroico non raccontano nulla. Se non la straziante evoluzione della criminalità a Milano. La prima parte del film vede ancora ambienti scarni e grigi, non ancora precipitati nel lusso; ci sono le citazioni poliziesche, che non bastano a togliere l’aria da ‘cumenda’ di cui si è impossessato il protagonista. E appaiono personaggi malavitosi conosciuti in carcere. Come Slim, anch’egli calabrese ma con seri problemi d’identità, almeno nel nome.
Sapessi com’è strano sentirsi banditi a Milano..
Le musiche sono di Riccardo Sinigallia, ex dei Tiromancino. Con una armoniosa cover di “Malamore“, brano del 1977 che cantava Enzo Carella e scritto da Pasquale Panella. Le atmosfere cambiano; si torna indietro nel tempo, lustri fa del vecchio cinema. L’unico momento per chiudere gli occhi. Dimenticare il sangue, le scazzottate da ring, e ridare Milano ai suoi Memo Remigi e compagnia, a chi l’ha raccontata bene.
Giacchetta strizzata, la camminata sicura che se non incute paura, almeno ti fa spostare un metro in là. Gli atteggiamenti malsani e viziati. “Assettati ca”, che gli esce con qualche difficoltà, contamina sporadicamente la sua parlata meneghina. Manca solo che nomini la ‘cadrega’ di Aldo, Giovanni e Giacomo. Non ha certo la serietà de “Il Padrino“, la credibilità e quel ‘rispettoso’ silenzio a cui ti costringeva Al Pacino. Anche se s’impegna, Scamarcio, dai Navigli a piazzale Loreto passando per Monza sotto copertura, alla frase ‘mani in alto è una rapina’, non farebbe girare nessuno.
Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema. Seguici!