Una commedia che tenta di riaccendere impulsi di rivoluzione (culturale) e biasimare l’italianità e le lobby.
Al Teatro Piccolo Eliseo di Roma è stato rimesso in scena un pungente testo del regista e autore Rosario Lisma datato 2009 (Premio ETI), ri-calibrato per continuare ad essere un testo moderno (ahinoi) e affondare il colpo (critico) sulla necessità del mestiere dell’attore e, per di più, fare luce sulla possibilità di riflettere tutti insieme sul Teatro: chi lo fa, chi lo osserva e chi dovrebbe essere super partes.
In una sala prove seminterrata quattro sedicenti e squattrinati attori stanno preparando uno spettacolo sugli Anni di Piombo italiani e sulle Brigate Rosse. Per nulla convinti della potenza espressiva del testo a cui lavorano si scontrano verbalmente su alcuni annosi temi che riguardano il senso di quello che stanno facendo. Scavano nelle lacune drammaturgiche, s’impregnano di nostalgiche manomissioni modaiole, certificano le solitudini personali di uomini, attizzano il tema prepotente della meritocrazia e cascano nel tranello della “conoscenzocrazia” tutta italiana.
I quattro personaggi hanno differenze ed esigenze che di volta in volta muovono la rappresentazione: il regista-autore “emergente”, l’attore con le conoscenze giuste, il donnaiolo prostituito al corteggiamento della televisione e il raffinato padre di famiglia con esigenze di vita concrete. Questa apparente normalità di vite celebra la forza dello spettacolo. Il realismo (o naturalismo, come viene detto in un feroce monologo dal protagonista, Rosario Lisma) avvicina qualsiasi pubblico a calarsi all’interno della dinamica che, seppur meta-teatrale, affascina e intriga per la solida costruzione della storia che viene raccontata.
Nella consapevolezza di essere davanti alla preparazione di uno spettacolo che non cambierà la vita (artistica) di nessuno, i quattro pirandelliani (nel senso sconcertante del termine) interpreti danno sfoggio di accurate frecciatine ai due sistemi supremi del Teatro italiano: la Critica e la Moda teatrale. Infatti, tra i dialoghi che si susseguono con tempi comici esemplari e dinamiche convertite in ideologiche sovversioni del Sistema, vengono evidenziate le necessità fondamentali per poter dare evidenza (a livello nazionale) delle doti eccezionali dello spettacolo sulle BR. Ma queste necessità si riducono a due possibilità: la “conoscenzocrazia” (termine coniato da uno degli interpreti, Fabrizio Lombardo, durante un monologo dalle corde drammatiche) e cioè la mafioseggiante attitudine (tutta italiana) di andare a chiedere favori a conoscenti, amici degli amici, capaci di aprire portoncini per attimi di pseudo-celebrità (per esempio per apparire sulla copertina de La Settimana enigmistica, come svela il personaggio interpretato da Alessio Piazza) o, in casi molto più truffaldini, concedere opportunità o Premi a gente che non merita affatto. I protagonisti, eticamente apprezzabili, scartano questa scelta e decidono di non “sottomettersi” al padrinismo. L’ideale sembrerebbe salvo.
La seconda possibilità conduce all’apoteosi della trama quando, rimarcando il cliché del modus operandi teatrale, i quattro attori confermano la vera via d’uscita per rendere celebre il loro spettacolo e, addirittura, le loro vite artistiche. Ritengono che per “fare il salto di qualità” e per “non essere più emergenti” sia fondamentale avere tra gli spettatori il Critico dei Critici (Marco Mezzasala lo chiamano); unico artefice capace di encomiare la loro opera sulle pagine del Giornale Nazionale in cui il Supercritico (“lui” lo chiamano) recensisce chicchessia etichettando l’Arte con rossi smile sorridenti o faccette tristi. Tant’è che decidono (a fatica) di invitarlo ad assistere ad una delle dodici repliche previste.
Quando il chimerico Critico non solo si smarca da tutte e dodici le repliche ma addirittura non si presenta neanche alla 13° di lunedì (appositamente allestita per lui), il crollo è dietro l’angolo e Lisma and company concepiscono un finale intrecciato drammaturgicamente alla storia dello spettacolo sui brigatisti. Così, proprio come professavano i terroristi rossi, i quattro sconclusionati attori si armano coraggiosamente di senso della lotta e, chiamandosi compagni, si coalizzano per liberare una volta per tutte la loro condizione di invisibili e architettano il rapimento del Critico Mezzasala per costringerlo ad assistere (imbavagliato e legato) allo spettacolo. Questo espediente in realtà si era intuito già intorno all’ora di spettacolo (L’Operazione dura 120 minuti abbondanti!) e, purtroppo, il finale si sgretola nella stessa maniera in cui le ideologie, oggi, si sono dissolte.
La critica della Critica, lo svelamento delle dinamiche di comparaggio tra pennaioli e operatori culturali o l’impossibilità di combattere ad armi pari tra le piccole Compagnie teatrali e i totem da “co-mega-produzioni e via”, si fronteggiano alle ridicolizzazioni delle svariate forme di linguaggio teatrale: divertenti i monologhi beffeggianti verso i cunti, le pinteriane conversazioni, i dialetti siculo-calabro-pugliesi, le performance di nudo, i pasolinismi, il teatro manierato, le immagini shockanti, le frivole barricate dietro ai microfoni; un concerto di sapiente distacco (preso dal regista) verso la nobile arte teatrale naturalistica. E Lisma ci riesce, centrando e mettendo bene a fuoco la perfetta allucinazione della realtà: la corruzione del teatro, la critica selvaggia e lobby arbitraria, lo smidollato tessuto artistico incapace di ribellarsi.
A distanza di dieci anni dalla nascita di questo testo le cose non sono poi cambiate più di tanto, in pochi hanno affrontato artisticamente la questione (si ricorda Fine, uno spettacolo sulle difficoltà dell’attore interpretato da Luigi Iacuzio nel 2008, finalista al Premio Dante Cappelletti) e ancora meno sono quelli che ne hanno affrontato il tema in letteratura (un ottima riflessione è ne La fortezza vuota, di Massimiliano Civica e Attilio Scarpellini). Se prima c’era il Critico dei critici a inneggiare sequele di artisti a discapito di altri artisti di resistenza, oggi c’è il caos. La scomparsa di Franco Quadri ha segnato una frattura tra regole scritte e non scritte e il sistema nazionale si è aggrovigliato su se stesso come un grosso scarabocchio sulla parola Cultura. La questione è ancora in fase di dibattito (tra pochi critici e molti meno artisti) e probabilmente non si risolverà mai perché dentro al caos regna una catastrofe ben più grande: la tendenza a eclissare la verità che, in campo artistico è ritenuta semplice. D’altronde siamo arrivati alla frutta con la banana di Cattelan. Quanta complicità c’è, da parte di molti, in questo disastro?
<<Si chiama semplice una cosa, non perch’ella sia astrattamente e per se medesima semplice, ma solo perché è naturale, non affettata, non artifiziata, semplice in quanto agli uomini, non a se stessa, e alla natura.>> Giacomo Leopardi.
Bravissimi tutti e quattro gli attori: Rosario Lisma (autore e regista), Fabrizio Lombardo, Andrea Narsi e (“da ricordare tra gli altri!”) Alessio Piazza. In scena fino al 22 dicembre al Teatro Piccolo Eliseo. Da vedere.
L’OPERAZIONE
scritto e diretto da Rosario Lisma
con Rosario Lisma, Fabrizio Lombardo, Andrea Narsi, Alessio Piazza e Gianni Quillico
produzione Elsinor
luci Luigi Biondi
costumi Neva Viale
ripresi da Simona Dondoni
tema musicale Gipo Gurrado
realizzazione scene Opificio Creativo di Marcello Prandina
12>22 dicembre 2019 – Teatro Piccolo Eliseo, Roma