Oggi Lucio Dalla avrebbe compiuto gli anni. E a noi piace ricordarlo con la recensione retrospettiva di uno dei suoi dischi più importanti e belli: “Com’è profondo il mare“. Difficile scegliere un solo titolo dalla generosa, splendida discografia del cantautore. La nostra mano andrebbe certamente a toccare diversi dorsi di vinile (o di Cd, o di clic su Spotify a seconda dell’età dell’estimatore): “Automobili” (1976) dagli amanti del Lucio sperimentatore linguistico, “Lucio Dalla” (1979) oppure “Dalla” (1980) da chi ama andare sul sicuro del grande classico assoluto; oppure ancora “1983” o, nel suo catalogo più ‘recente’, “Cambio” (1990) o “Canzoni” (1996).
Poi però ci sarebbe lui, a mettere d’accordo forse tutti. “Com’è profondo il mare”, il suo capolavoro edito dalla Rca Italiana nel mese di dicembre del 1977. In mezzo a tante altre canzoni meravigliose, precedenti o successive (inutile elencarle: sono inchiostro indelebile della nostra storia sociale ‘pubblica’ tanto quanto del nostro vissuto emotivo più ‘privato), quello scrigno di otto brani si staglia ancora oggi come faro nella nebbia, sirena incantatrice che dalle acque spumeggianti del miglior cantautorato italiano ci ammalia.
Si tratta di un capitolo davvero fondamentale nel ‘songbook’ dalliano: in primo luogo perché è il primo in cui Lucio risulta unico autore dei suoi brani, dopo le canzoni affidate a Sergio Bardotti e Paola Pallottino e la triade di album scritti dal poeta Roberto Roversi (rocamboleschi, stravaganti e non sempre fruibili: “Il giorno aveva cinque teste”; “Anidride Solforosa” e il già citato “Automobili”). Un crocevia decisivo della sua carriera, che darà a Dalla il coraggio di esprimersi dando vita su carta alle sue mille lune e fantasie.
In secondo luogo è una tappa cruciale perché sarà la prima (in anni di fruizione molto più legati ai dischi interi che non ai singoli a 45 giri) esperienza di grande successo di vendite, bacio meritato e grande fortuna commerciale che non lo abbandonerà più fino alla fine. A partire da “Com’è profondo il mare” – ancor più che con le canzoni “Piazza Grande” o “Quattro Marzo” che avevano nobilitato il palco di Sanremo – la sua stella si farà radiosa.
Ed è un disco che piace anche perché sa sintonizzarsi in empatia con la nostra Italia di allora. Soprattutto con le illusioni, le rabbie, le speranze, i sogni dei giovani di allora. Parliamo di un periodo molto turbolento: di austerità e di recessione, di crisi di governo, di compromessi storici. Sono gli anni di piombo pochi mesi prima del sequestro Moro, avviliti da bombe e attentati, violentati da occupazioni nelle università, rapimenti e omicidi su commissione. Insomma, una pesante cappa di oscurità ravvivata da una scena culturale assai viva e stimolante a livello nazionale, autentica stella nel buio, perla nel fango.
Un articolo a parte andrebbe dedicato al fiorire di nuove esperienze creative/artistiche sbocciate nel cuore degli anni Settanta. In tutti i campi, dal cinema al teatro alla Tv, dalla danza alla letteratura passando per le riviste di fumetto alternative e appunto alla musica. E qui torniamo a Lucio. Che nella primavera/estate del 1977 si lascia alle spalle, come abbiamo visto, il lavoro in coppia con altri parolieri e sceglie di navigare da solo. O meglio, in ottima compagnia sul piano musicale e della produzione artistica.
Già, perché a Lucio si affiancherà un gruppo di lavoro capace di rendere brillante, fresco, vincente il percorso di composizione/arrangiamento. Parliamo di alcuni dei futuri membri degli Stadio qui presenti: Fabio Liberatori, Marco Nanni e Giovanni Pezzoli. E poi Ron, grande amico e compagno di strada che con le sue idee e suggestioni sonore saprà imprimere una marcia in più. La produzione artistica è affidata di Sandro Colombini, altra presenza fissa a partire da quel momento.
“Com’è profondo il mare”, inciso presso il leggendario Stone Castle di Carimate (studio di incisione ospitato all’interno di un castello nelle campagne comasche, in Brianza) è il disco in cui si presenta il nuovo volto di Lucio, si sperimenta coniugando vissuti artistici differenti pur riuscendo in una sintesi musicale e lirica felice sotto ogni punto di vista. Ci sono chitarre acustiche folk all’americana, tastiere, fiati, c’è soprattutto la nuova canzone d’autore pop che si confronta coi grandi temi sociali dell’epoca (su tutti, l’ecologia) ma che respira anche dell’intimismo e del privato del nostro Lucio, ispirato come non mai.
C’è la voglia di giocare con il formato canzone, di provocare, di stravolgere certi canoni e di impreziosirli come già stavano facendo alcuni cantastorie suoi coetanei, pensiamo a Francesco De Gregori col quale ben presto Dalla avvierà un’indimenticabile collaborazione.
Non ci sono punti deboli dall’inizio alla fine e l’ascolto scorre avvincente a partire dalla traccia omonima passando per “Il Cucciolo Alfredo”, “Corso Buenos Aires” e la scapestrata “Disperato Erotico Stomp”. Non ci resta che ascoltarlo, lasciando da parte per una volta le parole. Chi ci si avvicina per la prima volta è fortunato: la sua vita sta per cambiare.