Lupercus è il primo Ep della neo-label romana Lykos Records di Andrea Lupo, in arte Worg. Il disco che include i remix di Feral e Svarog uscirà il 29 gennaio.

Dopo essere uscito con etichette del calibro di Concrete Records, Trimvirate, Absolute Records, Mitten Records, Photon, domani 29 gennaio uscirà l’Ep “Lupercus” di Worg, nome d’arte di Andrea Lupo (Roma).

Il disco è l’apripista della sua etichetta “Lykos Records”. Un regalo natalizio posticipato, in direzione di un 2019 di presunte soddisfazioni, fertilizzato da un cammino a quattro zampe, colmo di cultura musicale con cui si può svelare o celare una parte del mito romano. Almeno quello sonoro.

Il riferimento al quadrupede non è un’offesa, anzi. Si rifà ad una connessione linguistica tra latino, greco, italiano – Lupo, Lykos, Lupercus– collegata all’animale del lupo, simbolo di – Ep, artista, etichetta-. Ma non solo. Questa circolarità, che collega tutti gli aspetti, è una testimonianza del passato raccolta con premura, poi (ri)condivisa con il vero artefice da cui è nato tutto: Roma.

Lupercus” è la divinità rurale romana connessa alla fertilità identificata prima nel lupo e poi nel dio Pan. Il santuario situato sul colle Palatino dedicato a questa divinità, il Lupercale, è la grotta ove si narra siano stati trovati Romolo e Remo allattati dalla lupa.

Qui, i lupercali si dilettavano in riti sciamanici atti al sacrificio e all’ubiquità. La trasmissione di questi aspetti viene esplicata in una delle tracce: “Rapsodia sciamanica”, imbevuta di atmosfere e creature oscure, mistiche, rilanciando le fonti gotiche e surreali di un suono massonico. La figura del licantropo (lupo mannaro), per fare un esempio, ricalca scenari e sceneggiati complessi, figli di tradizioni mitiche e mitologiche.

Figure notturne raccontate prima oralmente, poi su carta con la prima comparsa in una novella del Satyricon di Petronio e ora in musica con l’Ep “Lupercus”.

Worg rinvigorito dalla curiosità e dall’eccitazione, fingendosi sciamano, relega la paura su di un recinto, scavalcandolo, per raggiungere l’onirico, sacrificando la propria anima al confronto con il branco.

Il sacrificio di Worg rimane circoscritto alla musica. Scene profonde e misteriose richiamano la natura selvaggia del sound capitolino sfumato dalle circospette influenze del luogo. Di soppiatto s’accede a luoghi sconclusionati, reduci dal girovagare imperterrito, al fine di trovare la sapienza, ignorando di non poterla mai acquisire.

Passeggeri di bighe che ruotano intorno al desiderio di conoscenza, i suoni si armano di lance che colpiscono l’ascoltatore, gettando su di egli un’aurea onirica, raffigurata dal ringhio beffardo del lupo. Su bassi sempre incessanti, le macchine si trasformano in un branco, de-nutrendo il quieto vivere, sbranando e divorando, sotto l’occhio di sacerdoti e stregoni.

La copertina di Lupercus

Soppiantati da una voce soffocata, i respiri si susseguono intenti a cercare l’aria sotto un barlume di speranza. Ma il sound rigetta questo contrasto, ribadendo il concetto che chi di speranza vive, disperato muore. Ed è proprio in queste tenebre soffocanti che si scoprono melodie imperterrite, radicali, germogliate in una processione religiosa dissacrata dall’esoterismo.

Ascoltando l’eccentricità del suono di Lupercus sovviene il pensiero che Worg, affinacato da Feral (Alessandro Barchitta) e Svarog (Oleksa Moroz), gestisca questa cerimonia con una vena di repulsione nei confronti della luce.

Luoghi a cui non è permesso l’ingresso, eclissano dietro samples e campionature, nascondendo la musica presente in essi, la quale ha bisogno di martìri ideologici che mostrino al cielo l’abnegazione verso l’arte. Tenendo a mente il motto dell’etichetta “Homo Homini Lupus” (l’uomo è lupo per l’altro uomo) la sensazione che ne deriva è quella di essere coerenti con degli impulsi musicali e naturali che prevaricano su altri, agendo tramite l’egoismo, determinando l’istinto di sopravvivenza. E in uno scenario tec(h)no-musicale della post-modernità attuale, alleanze e amicizie, che siano musicali e non, derivanti dal timore reciproco, (come sosteneva Thomas Hobbes già nel diciassettesimo secolo) l’Ep Lupercus non fa altro che proteggere quei luoghi e quell’arte da banale opportunismo.

Retro della copertina di Lupercus

Feral e Svarog innalzano la temperatura infernale delle vibrazioni racchiuse tra mura di onde sonore ed ingressi per il sottosuolo, imperniate su timbri e armonie arcane. Giostrandole come facce del cubo di Rubik, si spostano da una sfumatura sonora all’altra, conversando con il rebus e non cercando di risolverlo.

Svarog interpretando la traccia Rapsodia Sciamanica, raggiunge la parte più recondita e aggressiva del suono. Vocal di risate denigratorie verso uno spiritualismo deceduto, scomparso in un vortice tra drone e techno. Il cinismo e la freddezza dei luoghi dell’ex Urss sono il giusto mix per acuire le emozioni di un suono forte e vigoroso, a tratti violento, a tratti psicopatico.

La figura di Feral (interpretzione della traccia Lupercus) invece è l’altra faccia della bipolarità di questi concetti. Racchiude queste frustrazioni potenti nella dolcezza esplosiva di un flauto, riportando la magia del suono strumentale in un disco dal forte connotato tecnologico ma senza mai rinnegarne le origini, accompagnando al flauto magico la ridondanza di bassi profondi ed ipnotici.

Rincorrendo con ambizione il potere, perseguendo la giustificazione dei mezzi per arrivare al fine – parafrasando erroneamente Machiavelli – Worg ed il suo Lupercus, tendono a sottolineare queste circostanze, ricordando che per quanto evoluto è l’Homo Sapiens, la sopraffazione sul proprio simile è una concezione radicata nell’impalcatura dell’animo umano, proprio come per il lupo, che per sopravvivere sbrana il più debole.

Mattia Gargiulo