Il vertice all’Eliseo di ieri voluto da Macron mette ai margini l’Italia sulla questione libica. La ferma volontà di Parigi sull’individuazione di una data per le elezioni è stata però frenata dalla mancata firma dell’accordo. Macron ostenta sicurezza davanti ai giornalisti, ma l’assenza di una ratifica ufficiale sarebbe la prova che la pacificazione della polveriera libica è ancora lontana.

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Ieri all’Eliseo erano presenti i quattro uomini forti libici: Fayez al-Sarraj, il generale Khalifa Belqasim Haftar, il presidente della Camera dei rappresentanti, Aguila Salah e il presidente del Consiglio di Stato, Khaled al Mechri, oltre a una ventina di rappresentanti di stato e quattro organizzazioni internazionale. L’obbiettivo era fissare una data per le elezioni e unificare la Banca Centrale Libica e le forze di sicurezza. Di fatto oggi la Libia è spaccata in due su tutti i fronti, due stati paralleli che non dialogano su niente. Per quanto sia auspicabile una riunificazione, gli analisti sostengono che la mancata firma di ieri sia un ottimo segnale. La fretta di Parigi in questo caso non porterebbe a nessun risultato, se non addirittura a risultati disastrosi. Il conflitto che imperversa in Libia dal 2011 ha messo in luce la reale natura del paese. Frammentato in realtà non in due ma in mille anime, tutte con i propri interessi ed aree di influenza. Il summit di ieri ha escluso molte di queste anime che, pur essendo piccole, hanno molta voce in capitolo sullo scacchiere libico. Primo fra tutti il generale Ibrahim Ben Rjab, leader del Consiglio Militare di Misurata. Rjab si è rifiutato di partecipare al vertice in virtù del fatto che non gli sarebbe stato riconosciuto lo stesso status degli altri partecipanti. Questo è il perfetto esempio di come funzionano le cose in Libia, non da adesso ma da sempre. Gheddafi svolgeva il ruolo di garante di tutte queste fazioni che annualmente incontrava per risolvere faide interne e conflitti. In quanto unico Presidente (dittatore) era legittimato dalla fedeltà dell’esercito che era uno ed uno solo, tutto questo prima che gli stessi francesi iniziassero a bombardare Tripoli nel 2011. 

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Le scadenze.

I partecipanti al vertice di ieri dovrebbero definire una base costituzionale per le elezioni entro il 16 Settembre. Elezioni che si dovrebbero tenere entro il 10 Dicembre, una data molto ambiziosa se si considera per la riuscita della tornata elettorale dovrebbe essere garantita la sicurezza. Una sicurezza che dovrebbe essere tutelata da un unico esercito fedele ad un unico governo (che sarebbe provvisorio in vista delle suddette elezioni). L’impressione è che Macron voglia fare il passo più lungo della gamba, in parte per rimediare alle colpe francesi in Libia, in parte per ribadire la volontà di Parigi di tornare a contare in Africa. Questa miopia dettata dalla fretta sarebbe alla base della mancata ratifica di ieri, quello che non vede Macron lo vedono i libici.

Roma si dice infastidita dal “tempismo” francese.

A rappresentare l’Italia ieri era presente la nostra ambasciatrice Teresa Castaldo, validissima diplomatica trasferita nella Capitale francese a Febbraio. Certo è che la presenza di un Ministro degli Esteri sarebbe stata indicata per un vertice di questa importanza, per di più riguardante un area che dovrebbe essere una nostra prerogativa geopolitica. Come tutti sappiamo, a causa di questa lunghissima crisi di governo, in questo momento la Farnesina è priva di una guida “legittima”. Più che prendersela con il “tempismo” di un vertice a cui si lavora da molto prima del 4 Marzo, occorrerebbe chiedersi come sia possibile aver avallato una legge elettorale come il Rosatellum. Colpa della Francia?