Genetica e dolore. In “Madres paralelas”, film di Pedro Almodovar in concorso alla 78esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è il lutto a generare nuovo amore. Il regista spagnolo torna al Lido con un film che esplora i temi della nascita, della morte e del ricordo storico, affidando ancora una volta gli oneri e i doveri all’universo femminile e senza dimenticarsi di gettare prima luce e, infine ombra, sui desaparecidos spagnoli del periodo franchista.
“Madres paralelas” parte dalla necessità di Janis, fotografa interpretata da Penelope Cruz, di ricostruire il proprio albero genealogico, donando ai corpi dei parenti scomparsi e mai conosciuti una degna sepoltura. Si affida, così, all’amico e archeologo forense Arturo (Israel Elejalde),che dovrà condurre uno scavo nelle fosse comuni in prossimità del paese natale della donna. Il desiderio di giustizia da vita ad un duplice incontro che le cambierà per sempre la vita. La dove tutto inizia, ovvero nel reparto di pediatria, conosce l’ancora minorenne Ana (Milena Smit), giovane che come lei è in procinto di partorire.
Tra le urla e i dolori del travaglio, le due donne capiscono di desiderare qualcosa di diverso, ma di essere unite dalla condizione di madri sole. Nonostante ciò, Janis attende con ansia l’arrivo della figlia, mentre Ana rimpiange il giorno che le ha sconvolto l’esistenza. Seppur le due neo-mamme pare siano destinate a condurre due vite parallele, il teorema matematico sarà sconvolto dallo stesso desiderio di Janis di avere certezze sul proprio patrimonio genetico. Intanto Ana trova la forza di incontrare Janis e conoscerla meglio a seguito di un lutto improvviso, inaspettato, che non le preclude però la possibilità di trovare il vero amore.
Almodovar sorprende con una trama che, proprio nel momento in cui sembra dare ragione alle sensazioni dello spettatore, devia leggermente dalle sue aspettative. Lo stesso titolo, “Madres Paralelas” pare preannunciare qualcosa che di fatto sarà solo il principio di una storia tragica dal finale sorprendente. A confermarlo un applauso in sala che approva. Il sentore di una commozione collettiva alleggia tra i sedili al buio. Nella scena finale di questo film c’è poesia che si può ammirare con gli occhi e bellezza che scaturisce da una frase dello scrittore Eduardo Galeano.
“Madres Paralelas” gioca leggermente con il tempo, senza sconvolgere, però, il racconto e renderlo difficile da ricostruire. Le porte dei luoghi scenografici aprono spazi nella memoria personale delle sue protagoniste, che si svelano, così, lentamente al pubblico. Momenti rivelatori fatti di una forte carica sessuale. Tutto è eros e la libertà di scegliere con chi stare a secondo di chi si ha di fronte, genere a parte, è evidente. Fluidità che si respira anche attraverso i vestiti indossati dalla giovane Ana. Specchio della sua generazione, che si rifiuta di dividere le forme tra maschili e femminili.
Il film butta un occhio al passato e affronta temi esistenziali in una cornice totalmente moderna, che si affida ad una scenografia in cui è il buon gusto ed il design a trionfare. In questa cornice si parla di donne, di madri. Lo si fa mostrando la loro imperfezione. Madri che nonostante il piacere di accudire la propria prole vogliono qualcosa di più. Teresa (Aitana Sánchez-Gijón) abbandona, infatti, Ana in un momento difficile pur di realizzare finalmente la sua carriera d’attrice. La stessa Janis sente il bisogno di assentarsi momentaneamente dalle responsabilità di madre e Ana vuole dimenticarsi di esserlo.Donne che oltre ad essere madri sono complici, come dimostra l’autentica Rossy de Palma nel ruolo di manager e miglior amica di Janis. In questo universo femmine
“Madres paralelas” emoziona e apre una ferita profonda nello spettatore. Nascita, morte e ricordo sono la trilogia perfetta di un dramma familiare a coloro che sopravvivono il tempo necessario per ricordarsi di chi non c’è più.
Marta Millauro
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