Boko Haram: un nome che genera terrore. Ci porta alla mente le 276 studentesse rapite nel 2014, le 460 donne costrette a diventare kamikaze, gli stupri, i baby soldato. Una tenebra calata in Nigeria e sui paesi limitrofi nel 2009 e che ha causato almeno 30 mila vittime.

Aisha Wakil: Mama Boko Haram

Barrister Aisha Wakil è una donna coraggiosa. Ha 51 anni, avvocatessa, vive a Maiduguri, ed ha una storia personale che si intreccia da più di un decennio con quella di Boko Haram. Proveniente da una famiglia del sud della Nigeria ferventemente cattolica, si sposa con Wakil Gana, che lavora con l’Alta Corte dello Stato, un uomo musulmano del nord: osteggiata dalla famiglia, ne prende la religione, cambia il nome e si trasferisce con lui a Maiduguri. Sono benestanti in una città molto povera: Aisha comincia ad occuparsi dei bambini che passano le giornate in strada. Offre cibo, spazio sicuro, aiuta economicamente le famiglie. Diventa centrale nella vita del quartiere, la chiamano Mama, li chiama Figli.

Mama Boko Haram. Credits: Aljazeera
Mama Boko Haram. Credits: Aljazeera

La nascita di Boko Haram

Negli anni ’90, un uomo di nome Mohammed Yusuf iniziò a predicare contro le influenze occidentali, con toni sempre più estremisti partendo dal nord-est della Nigeria. Nei suoi sermoni, attacca boko (che significa educazione secolare) ritenendolo  haram  (peccaminoso). Parla di futuri diritti ad una popolazione poverissima, disoccupata, affamata. La forte crisi economica rende popolari i suoi discorsi.

Mohammed Yusuf credits: The Nigerian Voice
Mohammed Yusuf credits: The Nigerian Voice

Dal 2001 iniziò ad avere un folto gruppo di seguaci, specialmente fra i più indigenti, che vengono indicati come Boko Haram. Ma prima di tutto questo, prima dell’inizio della predicazione, la moglie di Mohammed Yusuf era amica di Aisha Wakil, e lui stesso era stato tra i bambini poverissimi di cui lei si era presa cura quando si trasferì a Maiduguri dopo il matrimonio. E il primo nucleo di combattenti parte proprio dal suo quartiere, dai bambini che lei supportava ogni giorno.

Nonostante lei si opponga chiaramente e da subito alla violenza del gruppo, da loro per le sue azioni passate è rispettata, e Aisha Wakil inizia ad approfittare di questi contatti per mediare negoziati sugli ostaggi, per fermare attentati. La sua casa non viene colpita dai proiettili e diviene “territorio di pace”, neutro, dove la popolazione può rifugiarsi, dove i combattenti possono parlamentare.

Ed in mezzo ad un quartiere dove regna l’omertà, si espone pubblicamente in televisione per appellarsi ai suoi “bambini” diventati guerrieri, per chiedere di deporre le armi. Di tornare a casa, dalle mogli e dai figli che hanno abbandonato e che lei sostiene. Da questi interventi la stampa ha cominciato a chiamarla Mama Boko Haram.

La seconda fase

Ma da quando Mohammed Yusuf il 30 luglio del 2009 è stato catturato dalla polizia e giustiziato la violenza di Boko Haram è aumentata.

L’anno successivo sale al potere Abubakar Shekau e iniziano i rapimenti delle ragazze. Si prendono per la prima volta di mira scuole. I “figli” di Aisha sono ormai combattenti senior, lei mantiene i contatti e li utilizza per trattare liberazioni. Riesce a liberare oltre trenta ragazze.

credits: Punch
credits: Punch

Lo fa alla luce del sole, il Governo lo sa e le chiede di entrare in un programma ufficiale, ma le informazioni che trapelano alla stampa prima della conclusione degli accordi mettono a rischio la vita degli informatori, e Mama Boko Haram lascia il progetto. Comincia una collaborazione, che porta ancora avanti, con la Commissione Nazionale per i Diritti Umani.

Gli ultimi anni

Anno dopo anno il suo ruolo diventa più difficile, muoiono molti suoi figli, specialmente coloro che si fanno convincere a lasciare il gruppo. Viene torturato e ucciso misteriosamente, poco prima di liberare diverse ragazze, il suo contatto principale. Il Governo la arresta una prima volta, rilasciandola 48 ore dopo. Comincia a non aver abbastanza denaro per sostenere le famiglie abbandonate e per fornire un futuro concreto a chi lascia Boko Haram, vende gioielli e terreni, ed infine viene arrestata di nuovo.

Quando la giornalista di The Guardian torna da lei a giugno scorso, la trova agli arresti in ospedale. Spaventata per l’incremento della forza di Boko Haram, per le nuove armi che aveva ottenuto, per i droni.

Ma pronta a tornare in azione.

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