Maria Luisa Spaziani, con Montale l’amore senza carne

Foto dell'autore

Di Federica De Candia

“È un burbero. Avaro. Si veste male e non ama le donne, in particolare le poetesse”. Così avevano descritto Eugenio Montale a Maria Luisa Spaziani. Lei ne aveva fatto un mito, conoscendo a memoria Ossi di Seppia. Ma era decisa a non incontrarlo mai. Troppo grande il divario, e la delusione di poterlo scoprire insensibile.

Maria Luisa Spaziani a Montale: ‘Sono io in carne ed ossa’

Maria Luisa Spaziani e Eugenio Montale, foto da Sololibri.net
Maria Luisa Spaziani e Eugenio Montale, foto da Sololibri.net

Succede che al Teatro Carignano di Torino nel ’49, organizzano una conferenza a cui partecipa Montale. Per caso presentano Maria Luisa, ragazza venticinquenne fra un gruppo di giovani poeti, a Montale. Lui a sguardo basso, stringeva la mano ai dilettanti compositori, accompagnando il gesto con un algido “piacere“. Ma davanti la Spaziani, mostrò di ricordarsi di lei, facendola esordire: “Si, sono io in carne ed ossa”. Memore anche della rivistina di poesia che ella dirigeva, “Il dado“, a cui non era mai stato chiamato a collaborare. “Io ho aspettato che lei mi invitasse“, insinua Montale tra lo stupore della poetessa che mai avrebbe osato disturbare un grande per un giornale di poco conto. Presa di sorpresa, lo invitò a cena a casa dei suoi. E fu l’inizio. Dodici anni di amicizia divertentissima, e di qualcosa che non stenta a chiamare amorosa. Ma non paragonabile a una storia d’amore.

Montale quando c’erano poche persone aveva un senso umoristico straordinario: era divertente, paradossale, diceva che se tutte le sere noi pensassimo alla giornata che abbiamo vissuto ci troveremmo qualcosa di comico“. Ricorda la Spaziani del suo amico. “Montale e la Volpe” è il libro che ella scrive, in cui raccoglie i momenti del rapporto con Montale. Il poeta che tutti conoscono come “della disperazione”, è in realtà, sorprendentemente ironico. “Lui diceva di non avere fantasia, ma si ‘attaccava’ semplicemente a cose che l’avevano colpito e ne traeva il racconto“. Forse era vero. La nuda e cruda realtà superava la fantasia. Nella poetica come nella vita.

La storia d’amore tra la Volpe e l’Orso, Spaziani e Montale

Detesta le riunioni mondane, le signorine che scrivono versi e pretendono giudizi. Così si presenta a Enzo Biagi, quando va ad intervistarlo a casa sua. Dove sul citofono non compariva alcuna scritta, mentre sull’elenco telefonico solo ‘Eugenio Montale, giornalista‘. Lui, uno dei più grandi poeti del Novecento, lo accoglie alternando il fumo di sigarette leggere, a piccoli confetti di liquirizia. Prendeva sonniferi, e leggeva, così trascorreva le giornate. (Da “Dicono di lei”, di Enzo Biagi). Biagi lo incalza rammentando alcune sue dichiarazioni alla stampa: “Un matrimonio ben riuscito, sintesi di ogni amore, è quello che lentamente si depura nella carne e si salda nell’amicizia“. Queste le idee di Montale, che continua affermando: “Dicono che sono caduti i tabù, onore, fedeltà, pudore, ma non so trovare una spiegazione. Il sesso è più importante della fede..”.

Montale, scrittore solitario, introverso, timido, che conosce tutte le piante dei boschi gli eucalipti, le agavi, i sambuchi, e riconosce il canto degli uccelli, ha dedicato versi alla poetessa e traduttrice di Proust, Spaziani. Come in una fiaba di Edipo, o in un sonetto di Trilussa, tra di loro si chiamavano la Volpe e l’Orso. Perché un orso non può non andare d’accordo con una volpe, diceva.

Poeti asessuati, la verità nelle rime di Montale per Spaziani

Spaziani apparteneva a un’agiata famiglia torinese. Nasce tra loro, un amore platonico, profondo quanto incompiuto. A distanziarli, non solo 25 anni di differenza, ma kilometri da attraversare in Italia. “Non sono mai stata bella: era sedotto dalla mia vitalità. Lui non era mai stato giovane”. Così ha sintetizzato, con un pizzico di amara saggezza, le loro vicissitudini amorose Maria Luisa Spaziani. Per lei il poeta scrive: “Mia volpe, un giorno fui anch’io il “poeta assassinato”: là nel noccioleto raso, dove fa grotta, da un falò. Lui guardava con occhi da innamorato “la falcata prodigiosa, pel volo del tuo passo
che unisce e che divide, che sconvolge
e rinfranca il selciato”
. Chiama il suo candido, immacolato angelo, “carnivoro biondo“, la cui perfezione è evidente forse, solo a lui, “i ciechi non ti videro sulle scapole gracili le ali“.

Montale aveva 53 anni, quando inizia ‘l’amore che non fu’ con la sua prediletta poetessa (che, fra l’altro, odiava il nome femminile e voleva essere chiamata poeta). “Non appartengo ai paradisi artificiali di Palazzeschi, né agli inferni lussuriosi di Ungaretti; sono un uomo che ha vissuto al cinque per cento, e appartengo al limbo dei poeti asessuati. E guardo al resto del mondo con paura, dichiara di sé stesso nel “Diario postumo“, scritto dall’amica Annalisa Cima. Parole che trovano conferma nella sua storia d’amore, ‘mancata e vissuta’. “Dopo il pranzo in famiglia, tornato al Corriere –racconta la Spaziani– mi mandò un espresso. Poi sarebbero arrivate le gardenie, i profumi ricercati, le tenerezze, le poesie d’amore. Ma già durante il piccolo convivio era apparso un po’ sovreccitato. Ebbe l’idea di mostrarci come aveva visto danzare una baiadera durante una sua visita in Libano. Si alzò da tavola, prese un grosso tovagliolo e con passetti di danza cominciò a sventolarlo a destra e sinistra. Luigi Pareyson, che aveva studiato la radice metafisica della sua poesia, lo guardava atterrito“.

La promessa futura di un Orso alla Volpe

Entrambi non erano soli. C’era anche una Mosca (soprannome di Drusilla Tanzi), rimasta al suo fianco per una vita, e che sposò solo nel 1962, un anno prima della sua morte. E poi c’era Clizia, (ovvero Irma Brandeis), con cui il poeta ebbe una lunga corrispondenza epistolare dal 1933 al 1939. La Spaziani rivela che le cose sarebbero potute andare diversamente, se lei non avesse deciso di sposare lo scrittore e filosofo Elémire Zolla, con cui restò per due anni, dal 1958 al 1960. “La verità è che Montale mi chiese di sposarlo più volte, ma io nutrivo affetto e solidarietà per Elémire Zolla, che era molto malato di tubercolosi. Eugenio ed io non avemmo coraggio di staccarci da queste due persone. L’ultima volta che ci incontrammo mi disse una petite phrase che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. Tradotta in prosa quotidiana, significa che in una futura esistenza avremmo saputo organizzarci meglio… Lui continuava a pensare di avermi rovinato la vita. Io volevo dimostrargli che non mi aveva rovinato niente. Sposando Zolla, non sarebbe cambiato niente sul piano degli affetti. Eravamo sempre Montale e la Volpe“.

Federica De Candia

Seguici su Google News