Benvenuti nell’universo femminile di LetteralMente Donna. Faremo un viaggio dagli anni 80′ ad oggi alla scoperta di una complessa poeta femminista. Parleremo di inadeguatezza della parola, di ricerca e inafferrabilità del vivere. Abbiamo dedicato la puntata di oggi a Mariangela Gualtieri e alle sue opere.
“La poesia è parola che nutre. È un pezzo di brace cosmica . Siamo fatti della sostanza dell’universo, veniamo da lontano. Anche se credo che in noi ci sia una parte profonda simile ad un cucciolo di gazzella che si mette a saltare nel petto, non solo per cose semplici ma anche davanti ad un verso. Un verso senza trama che ti tocca e ti nutre. Questa è la potenza della parola: l’incontro con la parola stessa”.
Così Mariangela Gualtieri ha parlato della poesia nella rassegna “Ciò che ci rende umani” al Teatro Valdoca fondato insieme a Cesare Ronconi nel 1983. La sua è una continua ricerca della parola, che spesso ha definito “inadeguata”, per adattarla alla poesia ed anche la teatro. Una battaglia cominciata sin dalla sua prima raccolta di poesie del 1992 intitolata “Antenata” che ha segnato l’inizio di un cammino in versi arrivato fino da oggi
Mariangela Gualtieri e l’inafferrabilità della vita
Analizzando le raccolte poetiche di Mariangela Gualtieri, come la recente “Quando non morivo”, appare evidente la presenza di una vera e propria battaglia. La poetessa è alla continua ricerca di una parola, di un suono che trasudi l’indefinitezza, la mutabilità e l’inafferrabilità del vivere. Uno scontro che diventa simbolo della sua interiorità E della sua esistenza. Quella della Gualtieri è una scrittura meditativa che si muove spesso sui silenzi e sul non detto testimoniando la malleabilità della vita.
L’esperienza del Teatro Valdoca
Mariangela Gualtieri ha adattato diverse sue opere al teatro. L’ho fatto grazie all’esperienza di Teatro Valdoca fondato nel 1983. Qui si è distinta soprattutto tra gli anni 80 e egli anni 90 per ricerca e sperimentazione. Infatti un anno dopo la sua fondazione, il suo teatro ricevette al premio Ubu, il più importante premio teatrale in Italia, una “segnalazione per la ricerca sperimentale” per lo spettacolo “Le radici dell’amore”. La sperimentazione è poi continuata con successo negli spettacoli seguenti.
Stefano Delle Cave