“Io ero una ragazza povera, poverissima. Ed ero tesa a conquistare il mio posto al sole” racconta a La Verità parlando del suo passato. Sua madre è una mondina e suo padre un casellante delle ferrovie, Marta nata Vacondio cresce a Mortara e, appena cresciuta inizia a lavorare nelle risaie tra “enormi bisce nere che sentivo sgusciarmi attorno alle caviglie”. Ma quella vita non fa per lei che invece sogna in grande e ha uno spirito indomito. Si trasferisce a Milano e inizia a lavorare come indossatrice, posa per Marie Claire e soprattutto conosce il conte Umberto Marzotto. “Io, a quindici anni, già facevo sfilate ed ero molto corteggiata. Allora non si parlava di top model, ci chiamavano mannequin volanti”, racconta, “Umberto arrivò come l’angelo salvatore: aveva tutto quello che una ragazza può sognare, biondo, occhi azzurri, intelligente, colto, sportivo. Un nobile. L’uomo dei sogni”. Si sposano e hanno 5 figli: Paola (madre di Beatrice e Carlo Borromeo), Annalisa (morta a soli 32 anni, per fibrosi cistica), Vittorio Emanuele, Maria Diamante e Matteo. Eppure nella sontuosa villa da 7 mila metri quadrati di Portogruaro Marta si sente stretta. Ama il marito, ne sopporta i tradimenti, ma per lei cerca qualcosa di più, fuori dalle mura domestiche.

Marta Marzotto, una personalità unica, imitatissima, ma inimitabile. Una volta mi misi in testa di strapparle la verità sugli amori della sua vita. Marta ha sempre sostenuto di aver amato solo 3 uomini: Umberto Marzotto, Renato Guttuso, Lucio Magri.

Come donna di mondo Marzotto non è certo immune agli scandali e, quando Guttuso muore e alcune sue lettere finiscono su un rotocalco di gossip, scoppia il putiferio. È il 1987 e il marito chiede il divorzio, lo otterrà ma Marta terrà il cognome del conte con cui ormai è conosciuta da tutti. Magri invece le propone di vedersi di nascosto, dopo 10 anni di relazione, lei rifiuta. Comunque la contessa si riprende e va avanti, senza darsi per vinta spinta sempre da un’energia incontenibile che non l’abbandona mai. “È alla guerra e alle bombe che devo la mia sete di vita e di allegria”, racconta, “il mio coraggio, la voglia di realizzare i miei sogni, di cercarli ovunque, di inseguirli anche lontano, viaggiare per il mondo, possederlo”.

«Ti regalerò una confidenza. Una cosa che non ho mai detto a nessuno. Per gran parte della mia vita ho amato un uomo senza riuscire mai a dirglielo. Avevo perso la testa per lui. Ed ero pronta a lasciare tutto, a seguirlo, a fare coppia». «Chi era?». «Pietro Ingrao». Non una parola di più. C’era stato un rapporto? No. Contatti, incontri? No. Un bacio rubato? Ma no, macché! E Ingrao ne sapeva qualcosa? No. Mi spinsi a chiederle, stremato, e all’epoca Marta aveva festeggiato i 70 anni: pensava di poter ancora realizzare il suo sogno, e comunque amava ancora Ingrao? Non saprei ricostruire il valzer di parole con cui Marta, impenetrabile, riuscì a non dirmi nulla. Il direttore del giornale per cui scrivevo si infiammò: bisognava andare da Ingrao, riferirgli, chiedere… Feci il mio dovere, ma sapevo l’esito. Il leader comunista, forse meravigliato e forse lusingato, rispose che non aveva nulla da dire, punto. L’ultima volta che ho incontrato Marta, nella sua casa di Milano, qualche settimana prima della morte, ebbi la cruda impressione che volesse fare il bilancio della sua vita, pronta ad aprirsi, ancor più di quanto facesse abitualmente. Ero con un amico, che la seguiva con gli occhi spalancati. Sedotto, ipnotizzato. Marta se la prendeva con i domestici, che non riuscivano a trovare al volo gli album delle foto.
Passava da un personaggio all’altro (era ritratta con tutti i grandi, da famiglie reali ai Kennedy fino a Barack Obama, Vladimir Putin, Fidel Castro…), evocava ricordi preziosi mentre io avvertivo un fondo di malinconia.

Marta Marzotto esibiva collane di diamanti e con uguale disinvoltura andava a una prima della Scala con un abito da poche lire. Al matrimonio di Jaki Agnelli e Lavinia Borromeo si è presentata, nel racconto di Laura Laurenzi, «con uno dei suoi famosi abiti da 7 euro, linea vù cumprà, colore turchese». Lei non ha mai nascosto le sue origini misere, al contrario le raccontava con orgoglio. Lavorava come mondina, a casa sua si faceva la fame. Da bambina soffrì perché la mamma non le consentì di mangiare neanche un pezzetto di un topo cucinato per il fratello, ma solo di intingere il pane nel sughetto; un’altra volta ebbe in regalo un chilo di pane e con la mamma e una sorella se lo sbranarono in 5 minuti. «Ho un’anima vagabonda come quella di mio padre, un ferroviere, detesto la saggezza e le regole, a cominciare da quelle che mi sono data io…». Umberto, invaghito dalla sua bellezza e dallo stile schietto, la conquistò con un corteggiamento instancabile. «Vergine al matrimonio?» le chiesi una volta. «Al matrimonio no. Con Umberto sì: fummo fidanzati per 1 anno, prima di sposarci». Qualche maligno diceva che si era sposata per interesse. «Sciocchezze. Ho molto amato Umberto e ne sono stata molto ferita.» Dai tradimenti, che ha sopportato fino al momento in cui esplose la passione per Renato Guttuso. Se avesse voluto legare il marito, le sarebbe bastato un figlio, invece ne fecero 5: Paola, Annalisa, Vittorio Emanuele, Maria Diamante, Matteo.
Con Renato fu un colpo di fulmine. Il pittore, al momento dei saluti dopo un incontro, la baciò d’improvviso sulla bocca, e lei quasi svenne per l’emozione. Tante volte Marta mi ha spiegato che il bacio in bocca è il momento più delicato e profondo, intimo, dell’amore, impossibile baciare in bocca qualcuno, senza amore.

Si incontravano nella casa messa a disposizione da un gallerista, si prendevano davanti ai quadri di Picasso… Lui era geloso, passionale: le scriveva lettere, le dedicava i suoi quadri, la introdusse nel mondo romano di intellettuali, pittori, scrittori, politici. Infine, per 10 anni, ci fu Lucio Magri. «Diceva di amarmi, ma amava solo sé stesso, forse il legame vero era con Luciana Castellina». Tutti sapevano tutto, ciascuno dei 3 sapeva degli altri. Ma quando Guttuso morì, si accese un (ipocrita) scandalo. «Da 3 grandi amori sono passata in un giorno a vedova di tutti e 3». Umberto chiese il divorzio. Magri, timoroso delle conseguenze, sparì. Di Umberto Marta ha sempre parlato con dolcezza. Di Renato con nostalgia. Di Lucio Magri con amarezza e risentimento. «Sono stata l’unica persona di estrazione popolare che abbia frequentato. E voleva che la tavola fosse apparecchiata sfarzosamente, posate d’argento, e guai se non c’erano vini giusti, caviale, cibi raffinati e compatibili». Una volta, in aeroporto, lui addirittura finse di non vederla. «Gli diedi un colpetto sulla spalla e gli dissi: guarda, dovrei essere io a fingere di non vederti». Mai più incontrato. La vecchiaia non le è pesata. In un’intervista al nostro Stefano Lorenzetto disse che era interessante, tanto che se l’avesse saputo prima si sarebbe aumentata gli anni. Diceva di non essere mai stata felice, «non ne ho mai avuto il tempo». Il dolore più grande, la morte della seconda figlia, Annalisa, appena trentenne. Era nata ad Albinea (Reggio Emilia) il 24 febbraio 1931. Se n’è andata, a 85 anni, il 29 luglio 2016. Diceva di non credere in Dio, ma che forse il Paradiso esisteva, almeno per chi, come lei, si era tanto divertita.
Divorava con gusto l’esistenza, ha detto di lei Matteo, il suo ultimo figlio. La notizia della morte è stata data con un tweet dalla nipote, Beatrice Borromeo: «Addio nonita mia».