L’idea di sonorizzare dal vivo vecchi film muti, donando nuova linfa e inedite idee alla storia del cinema internazionale, non è nuova. In Italia è già accaduto ad Alberto Ferrari dei Verdena, ai Giardini di Mirò, ai Calibro 35 e ai Marlene Kuntz, tanto per citare gli esempi più noti.

E risale al 2008 – nel contesto del Traffic Live Festival di Torino – la prima commissione di questo genere affidata ai Massimo Volume, complesso bolognese che nel corso degli anni ’90, grazie a una serie di felici intuizioni liriche/sonore, contribuì a riscrivere le coordinate del rock italiano, declinabile ai tempi come ‘indie’, ‘alternative’ o ‘underground’ con autentica cognizione di causa, al contrario di quanto troppo spesso avviene oggi.

Il film che il gruppo si impegnò a sonorizzare dal vivo era “La Caduta della Casa Usher” (1928) del regista francese Jean Epstein, una pellicola sperimentale/avanguardistica la cui trama era liberamente tratta dal racconto omonimo di Edgar Allan Poe, maestro ottocentesco della narrativa di genere horror/grottesco. Da notare la collaborazione alla regia di un giovane Luis Bunuel.

L’esperienza fu per la band un trionfo e a nove anni da quella prima commissione – che marcò peraltro la reunion della band emiliana dopo oltre un lustro di inattività – in più di un occasione lo spettacolo è stato riproposto per la gioia dei cinefili e degli amanti della buona musica. Non ultima, ci auguriamo, questa tornata di concerti nei club: ieri sera sul palco romano del Monk in zona Tiburtina/Portonaccio.

La notte è scossa da vento e pioggia: l’ideale per entrare fino in fondo nelle atmosfere cupe e tetre di questo viaggio cine-musicale in terre desolate.

Intorno alle undici – un’ora più tardi rispetto a quanto ufficialmente annunciato – inizia l’incantesimo: le luci si spengono ed Emidio Clementi (basso; synth), Egle Sommacal (chitarra elettrica) e Vittoria Burattini (batteria; salterio) fanno il loro ingresso in scena. Nell’oscurità, sul grande schermo alle loro spalle, inizia ad essere proiettato il lungometraggio.

La vicenda è inquietante e si dipana nei toni dell’onirico: un anziano protagonista – senza nome – viene chiamato con urgenza dall’amico di giovinezza, Lord Roderick Usher, inquieto per la salute della moglie, presso il suo castello a ridosso di un lago, tutto intorno una prateria triste e cadente. Una volta entrato nel maniero, lugubre e quasi posseduto dal maligno tanto quanto il paesaggio circostante, il protagonista incontra Lord Usher mentre dipinge il ritratto di Lady Madeleine, sua consorte. La dama, purtroppo, sembra sfiorire e spegnersi ogni giorno di più, allo stesso ritmo con cui il compagno conclude  il proprio quadro.

E’ come se la tela rubasse corpo e spirito alla nobildonna, e così in effetti accade, con l’esito tragico della morte di lei. I resti della Lady vengono allora chiusi in una bara bianca sovrastata da un velo e traslati in una cripta non lontana dal castello. Lo scorrere dei pochi giorni successivi al lutto compromettono il già precario equilibrio psico-fisico di Lord Usher, sotto gli occhi del protagonista ancora ospite del maniero e sempre più atterrito dalla situazione.

Egli proverà a calmare il vecchio amico con la lettura di un antico racconto cavalleresco, ma senza successo. Così, al culmine di una notte di uragano, tuoni e fulmini il tumulo nelle cripta cade a terra e il sospetto dell’ormai delirante Lord Usher trova una sinistra conferma. La donna è stata sepolta viva. Le candele, nel frattempo, hanno provocato un incendio che ha distrutto anche il ritratto di Madeleine. Non resta che la fuga dal castello, l’incontro inquietante con la rediviva Lady alle porte della cripta e la scomparsa di tutti i personaggi nella notte mentre alla luce della luna il maniero crolla sulle stesse fondamenta.

A sottolineare con grande misura ed efficacia ogni momento della pellicola, il flusso sonoro dei Massimo Volume: che riesce a dare un colore altrettanto scuro al bianco e nero delle immagini, e a dare voce ugualmente sinistra e palpitante alla muta presenza dei personaggi, ravvivata solo da qualche didascalia, com’era consuetudine a quei tempi.  

E’ interessante constatare come, anche in assenza degli splendidi testi cantati/salmodiati da Emidio Clementi (senza dubbio un aspetto cruciale nelle dinamiche della band) la musica riesca a connettersi in naturale armonia con i vari fotogrammi, complice la grande virtù ‘cinematografica’ che sempre hanno avuto le canzoni del gruppo bolognese.

Ariel Bertoldo