L’ultima dichiarazione di Matteo Salvini è sui centri sociali, da chiudere in quanto “occupati dai comunisti”. Siamo in piena repressione politica?

L’inasprimento del linguaggio politico verso i centri sociali occupati raggiunge un nuovo apice con le dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini e della premier Giorgia Meloni. Da Bettona, Salvini ha lanciato una richiesta esplicita: «Chiederò una ricognizione di tutti i centri sociali di sinistra occupati abusivamente perché sono covi di delinquenti». Un’accusa di estrema gravità, accompagnata dall’intenzione di coinvolgere il ministro dell’Interno Piantedosi in un’operazione di chiusura su larga scala. La premier Meloni non è stata da meno, condannando una “certa sinistra” per il presunto sostegno ai “facinorosi” e attaccando la segretaria del PD, Elly Schlein. Ma fino a che punto il governo sta cercando di mantenere l’ordine pubblico e dove, invece, rischia di invocare un pericoloso regime di repressione?

Salvini sui “centri sociali occupati dai comunisti” che sarebbero anche “covi di delinquenti”

L’uso di espressioni forti come “covi di delinquenti” e “comunisti” da parte di Salvini non è solo un attacco politico, ma assume i toni di una demonizzazione vera e propria. Se da un lato la sicurezza è una prerogativa di ogni governo, dall’altro questa narrativa risulta strumentale nel creare un clima di allarmismo che dipinge un’intera fetta della popolazione – quella più critica verso le politiche del governo – come minacciosa e violenta. “Immagini vergognose e inaccettabili ieri da Milano e Bologna, bisogna chiuderli questi centri sociali occupati dai comunisti”, ha insistito Salvini, accennando a episodi di protesta in cui manifestanti avrebbero “cacciato” i poliziotti e, a Milano, sostenuto “l’istigazione per la caccia all’ebreo”.

Queste parole, se non sostenute da prove documentate, sembrano voler giustificare un’escalation repressiva che potrebbe stabilire un pericoloso precedente. I centri sociali rappresentano spazi di aggregazione per chi ha trovato negli ideali di giustizia sociale e resistenza antifascista una risposta alla polarizzazione del clima politico. Ma Salvini, nel riferirsi a questi luoghi come focolai di crimine, sembra voler invocare una giustizia sommaria che non fa distinzione tra atti illeciti individuali e libertà di espressione collettiva.

La Meloni appoggia (ovviamente) la retorica di Salvini

La premier Giorgia Meloni ha rincarato la dose, affermando che “certa sinistra foraggia i facinorosi” e accusando indirettamente il Partito Democratico di tollerare manifestazioni violente. Di fronte ai disordini di Bologna, Meloni ha espresso tutto il suo disappunto: «Spiace constatare che certa sinistra continui a tollerare e, talvolta, a foraggiare questi facinorosi, anziché condannare apertamente questi episodi». La dichiarazione della premier tenta di delineare una sinistra divisa, dove l’ala più “moderata” è colpevole di simpatizzare per le frange radicali, un’immagine che sembra cucita appositamente per indebolire la leadership di Elly Schlein. Ma questa tattica rischia di minare la fiducia verso un’intera parte politica e di alimentare la percezione che il governo intenda approfittare del proprio potere per ridurre le voci di dissenso.

L’offensiva di Salvini e Meloni segna una preoccupante spinta verso la repressione di spazi di dissenso che sono comunque regolati dalla legge. Chiudere i centri sociali significa non solo escludere gruppi spesso emarginati dalle dinamiche istituzionali, ma anche mandare un messaggio inquietante a chiunque desideri organizzarsi fuori dalle strutture politiche dominanti. La sensazione di impunità che emerge da queste dichiarazioni – la promessa di una chiusura immediata senza processo – rischia di compromettere gravemente il diritto alla protesta e alla libertà di espressione.

Quando Salvini dice che vuole “chiudere i centri sociali” e usa la parola “comunisti” come dispregiativo dovremmo preoccuparci

Questa deriva autoritaria ricorda episodi storici in cui il dissenso era trattato come una minaccia alla sicurezza nazionale, e non come un esercizio democratico. Salvini e Meloni sembrano evocare un’Italia in cui la partecipazione attiva e critica alla vita politica deve essere uniformata a una visione che non ammette deviazioni. È legittimo domandarsi fino a che punto si spingerà questa politica di chiusura, e quali saranno le conseguenze per i diritti civili. Se la sinistra “facinorosa” è oggi al centro del mirino, cosa impedirà che domani altre forme di dissenso siano colpite con la stessa violenza retorica e repressiva?

Le dichiarazioni di Salvini e Meloni sembrano rispondere a una strategia di controllo che, in nome dell’ordine pubblico, rischia di minare il tessuto democratico del paese. L’obiettivo di chiudere i centri sociali occupati non è solo una questione di sicurezza, ma anche un simbolo di potere che vuole eliminare ogni possibile minaccia ideologica. In una società che sta diventando sempre più polarizzata, questa retorica da “caccia alle streghe” potrebbe trascinare l’Italia in un’epoca di repressione politica e culturale, portando via non solo gli spazi fisici del dissenso. Ma la permanenza di luoghi simili simboleggia la pluralità politica. Chiuderli significa limitare anche i valori di una democrazia che si definisce libera e inclusiva. Non possiamo essere “democratici” solo con ciò che ci piace.

Maria Paola Pizzonia, Autore presso Metropolitan Magazine