“Prevede di avere figli?”. Quante volte questa domanda è stata posta a una donna durante un colloquio di lavoro? Oltre a essere illegale ai sensi del Decreto legislativo n.198/2006, è anche non troppo sottilmente discriminatoria. Ma cosa succede quando, passato il colloquio e ottenuto il lavoro, si rimane incinta? C’è chi concede giorni di maternità e incentivi per lavorare da casa e chi si affida al buon vecchio e disumano mobbing. Quest’ultima la strada scelta dalla datrice di lavoro di Chiara, la cui storia è più comune di quanto ci si auguri.

I numeri del mobbing sono sempre troppo alti.

,Ma cos’è di preciso il mobbing? Si tratta di una serie di comportamenti aggressivi di natura fisica e/o verbale messi in atto da una o più persone nei confronti di un singolo. Sul posto di lavoro (cosiddetto “mobbing verticale”), si declina perlopiù in una serie di soprusi verbali che i superiori adottano al fine di creare un ambiente invivibile per chi lo subisce. Di moventi ce ne sono molti ma nessuno può giustificare questo atteggiamento. Di certo, non il fatto che la vittima sia rimasta incinta. Secondo i dati Ispesl, le vittime di mobbing sul lavoro sono 1,5 milioni e le donne sono, neanche a dirlo, in percentuale maggiore (58%). Nel 2015, l’Osservatorio Nazionale Mobbing ha registrato 800.000 casi di donne costrette a dimettersi, 350.000 di loro perché incinta o per tentativo di conciliare vita familiare e professionale. I danni che questo atteggiamento può provocare a volte sono molto gravi e possono distruggere la vittima sotto molti punti di vista. Passando per un danno alla psiche e all’autostima del soggetto, si può infatti arrivare anche a significativi peggioramenti della qualità della vita.

Chiara come tante altre: licenziata perché incinta.

La storia di Chiara è quella di tante altre donne. Donne che fanno lavori diversi tra loro, che abitano l’Italia da nord a sud, ma che hanno un punto comune: aver lavorato per qualcuno che non contemplava l’ipotesi della maternità. Traduttrice dall’inglese e dal tedesco per un’azienda svizzera, è stata vittima di mobbing dopo aver dichiarato alla propria datrice di essere incinta. Nonostante la promessa di lavoro in smartworking in casi come questo, la donna ha iniziato da quel momento ad aggredire verbalmente Chiara, fino a farla scappare dal lavoro. Quello stesso pomeriggio, ha avuto delle perdite ed è stata sottoposta a un raschiamento. Tornata sul posto di lavoro, è stata licenziata.

Oggi Chiara ha preso di nuovo in mano la propria vita, è un nuovo lavoro e una bambina. Non si è persa d’animo e ha portato curricula alle aziende. Si è ricostruita. Le parole pesano, non vanno usate con giudizio e umanità. Il mobbing non è solo una problematica di genere, ma ha a che vedere con il rispetto che ogni persona in quanto tale si deve vedere tributata. Nessuna forma di profitto può essere più importante.