Un padre non può dimenticare la morte di un figlio. È così anche per Paolo Simoncelli che, in questa commovente intervista, torna sulla morte del figlio Marco Simoncelli e tende una mano, seppur virtuale, al padre di Jason Dupasquier, giovane ragazzo che ha perso la vita in pista, esattamente come suo figlio.

L’intervista a Paolo Simoncelli

Raggiunto dal quotidiano La Repubblica, Paolo Simoncelli ha raccontato il suo dolore, mai sopito, per la scomparsa del figlio Simone Simoncelli: il ragazzo italiano morì in pista. Ecco le sue dichiarazioni: “Il minuto di silenzio, la gara in suo onore, la dedica dopo la vittoria. Tutte sciocchezze. Dopo che ti è morto un figlio, cosa vuoi che ti freghi di queste robe inutili? Niente. Sei in un altro pianeta, amico mio: la gente dovrebbe capirlo, avere il rispetto della confusione che ti ritrovi in testa. E lasciarti in pace per un po’. Perché in quei momenti lì non ti interessa proprio nulla, della vita intorno”.

Trovarsi in un altro mondo: “Quando perdi un figlio in pista, non è quello che succede nel paddock, o al via di una gara: quei luoghi, dove magari hai trascorso tutta la tua vita, di colpo cessano di esistere. Ti trovi in un altro mondo. Non capisci nemmeno dove: però è lontano. Irraggiungibile per gli altri. E stai sicuro: non ti importa nulla, di tutto il resto. I minuti di silenzio sono una cosa veramente angosciosa. Non si possono sopportare. Io li eliminerei. A maggior ragione, poco prima di accendere i motori“.

La morte di Dupasquier: “Sono stato male. Ci ho pensato fino all’alba. Avevo letto del trauma cerebrale di Jason, qualcuno sosteneva che – se fosse sopravvissuto – nella migliore delle ipotesi poteva restare attaccato a una macchina. Fino a ieri credevo di essere stato fortunato, perché il mio Marco era morto subito: cioè, non era rimasto disabile. Ma poi ho visto un caro amico accarezzare la testa al figlio costretto su una sedia a rotelle dopo un incidente di motocross: forse era meglio se anche Marco finiva così. Cosa direi al padre di Jason? Neanche un parola. Lo abbraccerei. Perché quanto ti succede una roba così, non c’è più niente da dire. E gli altri non sanno“.

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