Come la favola dell’assistenzialismo si esaurisce in una delusione post-elettorale.
Il Movimento Cinque Stelle sta attraversando quella fase del percorso politico nella quale tutti i grossi partiti odierni sono già transitati. Quella della delusione post-elettorale. Si tratta di qualcosa che succede a tutti, quando non riesce a mantenere le tante (ed enormi) promesse che ha sventolato come vessillo in campagna elettorale. Ed è qualcosa che è connaturato al fare politica in Italia.
Tutti i partiti hanno sempre fatto leva sull’assistenzialismo statale. Quando hanno citato altro, si è sempre parlato di defiscalizzazione, ma il succo del discorso è infine il medesimo. Promesse di futuro migliore, di migliore stile di vita, di abbassamento delle imposte. Promesse, alla fine mai mantenute, se non simbolicamente. Ecco così che, come in questo caso, un reddito promesso diventa in realtà una sua metà, in più solamente abbozzata. Come in fondo, per la legge del contrappasso, anche i voti percentuali degli elettori.
Dalle Politiche 2018 alle Europee 2019. Un rapido declino
Il Movimento Cinque Stelle paga pegno in questa tornata elettorale, scambiandosi di fatto la percentuale di preferenze con la Lega di Matteo Salvini. Le promesse del secondo, infatti, erano solo di cambiare i toni, cosa che di fatto è avvenuta, senza doversi avvalere di fondi pubblici. Il programma pentastellato, invece, è quello che maggiormente necessita di denaro contante, principalmente per il Reddito di Cittadinanza. Reddito che incide sui bilanci statali e, ironicamente, sulla poca credibilità a livello europeo, tanto più per come è venuto. Credibilità che invece, in quanto gli interessi sono rivolti perlopiù al mondo imprenditoriale, proprio Matteo Salvini propone di rilanciare. Con la forza e con le parole, invece che con l’asservimento che il Movimento Cinque Stelle ha fatto proprio in questi mesi. E per confermare questo concetto, basta l’analisi del rapporto tra gli alleati di Governo in questi mesi.
Movimento Cinque Stelle, forza di opposizione?
Quando si è all’opposizione, come noto, accrescere il proprio bacino elettorale è più semplice. Bastano critiche, anche non costruttive, per accalappiare l’attenzione dell’elettorato. La sfida arriva quando si è al Governo, attirandosi le critiche, sovente, degli stessi che ti avevano seguito. Perché anche se in parte, con la propaganda, si era assecondata la volontà popolare, non potrà mai essere seguita di pari passo, con speculare pensiero. Inoltre la critica dell’opposizione, che per anni ha sopportato di essere messa costantemente sotto interrogatorio, diviene feroce, come una guerra di trincea.
L’evoluzione del Movimento Cinque Stelle a forza di Governo non ha avuto luogo. Ancora adesso, buona parte della campagna elettorale è giocato sull’opposizione stessa al proprio Governo. Ciò da un lato è dovuto allo snaturamento dei propri ideali per giungere ad un compromesso. Dall’altra parte è dovuto alla “ribellione” verso il capo, identificato con Luigi Di Maio, che il Movimento non si sente di seguire in toto.
La mancanza di colpevoli
Un altro errore compiuto nel giorno dei risultati elettorali è stato quello di Luigi Di Maio di non dichiararsi colpevole del capitombolo elettorale. Anzi, Alessandro Di Battista ciò ha anche ribadito la correttezza della scelta, per non paragonarsi al Partito Democratico.
Il punto però non è quello di assomigliare a questo piuttosto a quel partito, ma di prendersi le colpe. Nel Movimento Cinque Stelle però, dove chi è colpevole viene accantonato, significa porsi definitivamente fuori dai giochi. Situazione questa che il leader del movimento sicuramente non può accettare, soprattutto mentre ancora ricopre una carica importante nell’esecutivo, da lui fortemente voluto. Questa scelta però, in linea con l’atteggiamento tenuto negli ultimi mesi, non può che peggiorare la condizione elettorale del Movimento Cinque Stelle.