Qualche anno fa, ascoltando qualcuno parlare di parità di genere in ambito lavorativo avremmo sicuramente pensato a quante poche donne siano muratrici, idrauliche o facciano lavori che richiedano parecchia forza fisica. Probabilmente anche a quante siano poche le donne (almeno quelle note) in politica, nell’ambito della scienza o della tecnologia.
Dopo lo scandalo Weinstein e grazie alla nascita del movimento del #Metoo, invece, pensiamo anche alla mancanza di parità di genere in ambienti in cui questa è meno evidente: il cinema, la musica e lo spettacolo.
Ma parliamo di numeri
Durante lo scorso festival di Sanremo è stato presentato dal NUOVOIMAIE uno studio sulla presenza e compensation delle interpreti femminili nel mondo della musica, basato sul repertorio completo di opere pubblicate dal 1947 ad oggi (inizio 2020). Questo prende in considerazione 765.789 registrazioni musicali in 116 Paesi, si sofferma sul numero di ruoli da artisti primari e comprimari e li analizza per Paese, fascia di età, sesso e profitto generato.
I dati emersi sono preoccupanti, solo l’8,15% dei brani analizzati, vede la partecipazione di un’artista donna, in qualità di artista primario o comprimario, contro il 91,85% che invece vede la partecipazione maschile.
Lo studio fa riferimento alle sole interpreti, ma se ampliassimo la ricerca a tutte le fasi della creazione di un brano scopriremmo che la percentuale di donne è ancora molto bassa. Basta pensare ai produttori, ai cantautori, ma anche ai musicisti classici o ai direttori d’orchestra, che superano di gran lunga, in numero, le colleghe donne.
Le artiste che hanno denunciato la situazione
Per fortuna, una lista piuttosto lunga di artiste che ben conosciamo, ha denunciato la situazione. Iconico il post, risalente ormai a quattro anni fa, sulla pagina Facebook dell’immensa Björk. In una lettera ai giornalisti, l’artista islandese, li accusa di parlare delle artiste donne solo per stereotipi di genere. Björk trova ingiusto che gli uomini possano liberamente spaziare da un genere o da un ambito all’altro mentre alle donne sia concesso di esibirsi in performance conformi a ciò che il pubblico maschile si aspetta e che trattino temi amorosi o che si confacciano all’immagine della donna ideale. Mal visti e criticati sono invece i riferimenti sessuali, le canzoni di protesta o anche semplici sperimentazioni musicali. Ad indicare che l’emotività è l’unico mezzo che le donne dovrebbero usare per fare musica.
Un’altra compagna di lotta è St. Vincent, che oltre ad usare espliciti riferimenti alla seduzione e alla sessualità nelle sue canzoni, ha progettato la prima chitarra per donne. L’artista ha dichiarato che chitarre come la Fender Stratocaster o la Gibson Les Paul sono impraticabili per le donne a causa del loro peso, ed è anche in queste piccole cose che si nota quanto il mondo della musica non sia attento alle figure femminili che lo abitano.
Le Camp Cope, invece, hanno usato il brano di apertura del loro album “How to socialise and make friends” per denunciare il gender gap nel mondo della musica. In “The Opener”, brano che “ha dato il La” per la creazione di questo articolo, il trio australiano dice:
“You worked so hard but we were just lucky
To ride those coat-tails into infinity
And all my success has got nothing to do with me
Yeah tell me again how there just
Aren’t that many girls in the music scene“
Denunciando la credenza degli uomini che le donne non lavorino sodo per raggiungere posizioni di prestigio nel mondo della musica e chiedendo esplicitamente di spiegare ancora una volta come mai non ci siano tante donne quanti uomini nel music business.
Parità di genere: le donne nei festival musicali
Un altro argomento di cui parla “The Opener” è la presenza delle donne nei festival musicali. Nel brano, le Camp Cope sostengono che in molti festival si utilizzino artiste di apertura donne per riempire le cosiddette “quote rosa”.
Uno studio del 2017 pubblicato su Female:Pressure conferma che fino a quell’anno, il numero di donne presenti nelle line up di svariati festival internazionali, non superava il 16%, dato contrario a quello riferito alla presenza di donne tra il pubblico, che invece supera di poco il 50%. Per una conferma visiva che quanto sostengo sia vero, potete visitare questo profilo Instagram, che pubblica le line up di vari festival internazionali, cancellando i nomi degli artisti uomini.
Esistono iniziative per incitare le donne a fare musica?
La risposta a questa domanda è sì. Ecco una lista di alcune:
She Said: shesaid.so è una community di ascolto e supporto per donne nel mondo della musica. Una rete di aiuto tessuta tra donne in tutto il mondo.
Hit like a girl: il contest che incoraggia le ragazze a suonare lo strumento maschile per antonomasia (non l’ho detto io, giuro): la batteria.
Always on: un livestream di 50 ore, ospitato dall’edizione del 2018 del Moogfest. Esso raccoglie esibizioni continue di artiste donne, donne transgender e queer per dar voce ad artiste che spesso restano escluse da eventi internazionali così importanti.
Keychange: la campagna supportata dall’UE in cui 45 festival di tutto il mondo si sono impegnati a portare ad una proporzione del 50:50 (uomini e donne) nelle loro line-up.
E noi? Possiamo in qualche modo sostenere le artiste che amiamo?
L’unico modo che ci viene in mente per sostenere le donne nella musica comodamente da casa nostra è ascoltarle. In una giornata importante come quella contro la violenza sulle donne, noi di Brave Girls abbiamo pensato di regalarvi una playlist piena zeppa di quelle artiste che usano la loro musica per contrastare la violenza di chi, guidat* dal solo pregiudizio probabilmente neanche le ascolterà.
Da Angel Olsen a Beyoncè, passando per Maria Antonietta e Margherita Vicario, qui per voi All BRAVE girls to the front!, una playlist fatta di donne, dalle donne e per le donne in cui (spoiler) non c’è neanche una canzone d’amore.
Articolo di: Serena Colucci
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