“Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” diceva il premio Nobel John Steinbeck. Niente di più vero: ogni ritorno a casa ci restituisce sempre un po’ diversi, con più ricordi ed esperienze, rispetto alla persona che eravamo all’andata. Il viaggio ci forma, dunque, ci consente di scoprire nuove realtà e nuove parti di noi. E un passaporto, come un vecchio amico con il quale abbiamo condiviso molte avventure, ha il diritto di sapere tutto della nostra vita. Specie se si tratta di ciò che ci definisce, che riflette la nostra identità.
Passaporto con genere X: una vittoria per gli USA
Proprio per rispettare l’identità di tutte le persone, il Dipartimento di Stato del Nord America ha emesso il primo passaporto con la possibilità di scegliere, oltre le diciture “maschio” e “femmina” il genere X per chiunque non si identifichi nelle categorie binarie. La decisione, annunciata in data 30 giugno di quest’anno, è un grande passo avanti per la comunità LGBTQI+ e ricorda come lo spettro delle identità sia ben più variegato delle due opzioni tradizionalmente previste. Il mondo si sta muovendo nella direzione dell’inclusività e il governo non poteva che seguire la stessa strada, in linea con l’impegno del Presidente Biden in merito. Mentre il cadavere del Ddl Zan, in Italia, è ancora caldo, l’America muove un passo su un terreno tutt’altro che pianeggiante, ma che passa per il riconoscimento della dignità e del rispetto di ogni identità.
“Dateci una X”. La rivendicazione di un passaporto con genere X inizia con un veterano.
Dana Zzym, veterano della Marina di 63 anni, del Colorado, aveva nel 2014 dato inizio alla propria e personale protesta scrivendo “intersessuale” sopra le caselle per indicare “M” o “F”, chiedendo un marcatore neutro che riconoscesse la propria identità. Zzym era nato con caratteri sessuali ambigui ma, cresciuto come un uomo, sarebbe stato sottoposto a diversi interventi perché questa predominanza avesse riscontro anche a livello visivo; Zzym si è identificato con l’identità intersessuale durante i suoi studi presso l’Università del Messico e proprio in quel Paese avrebbe dovuto recarsi per partecipare a un meeting dell’Organization Intersex International, gruppo di sostegno a livello internazionale per chi vi si riconosce, ma il passaporto gli era stato negato. In risposta, Dana Zzym aveva fatto causa al Segretario di Stato John F. Kerry e al direttore dell’Agenzia di Passaporti del Colorado, creando un precedente che, a distanza di sei anni, viene ricordato come una delle più importanti rivendicazioni di identità intersessuale.
Picchi di imbarazzo quasi grotteschi vengono toccati con la vicenda della attivista trans Rosalynne Montoya, bloccata ai controlli di sicurezza per volare a Los Angeles perché gli scanner riservati alle donne hanno registrato un’anomalia all’altezza dei pantaloni ed è stata sollecitata a farsi scansionare dai macchinari preclusi agli uomini, che a loro volta non hanno riconosciuto, considerata la presenza del seno, conformità agli standard estetici tradizionali maschili. La situazione e al limite dell’assurdo: non troppo di fondo c’è una transfobia interiorizzata che preclude un posto, un riconoscimento dell’identità e della dignità, un accordo di validità a chiunque non si riconosca nella più antica, non ancora equilibrata e discussa divisione del mondo.
Ad accompagnare fino a quel momento la scelta del genere sul passaporto, quando difforme da quanto indicato su altri documenti, doveva essere presente un certificato medico che spostava l’argomento su piani clinici dalla possibile carica disforica. Il passaporto con genere X parla a oltre 8 milioni di persone, tra transgender, non binari e intersessuali, a tutti coloro cui questo certificato e le conseguenti domande hanno causato ferite profonde e occhi gonfi dal pianto, invitandoli a riscoprire il piacere di viaggiare respirando la libertà di essere sé stessi in un mondo in cui, troppo spesso lo si dimentica, ci può e ci deve essere spazio e dignità per tutti.
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Sara Rossi