Nicolò Carnesi e la sua riflessione sul tempo e le differenti stagioni della vita, che nel bene o nel male riverberano sulla nostra interiorità, abitudini e progetti. Fine, inizio, passato e futuro: questione di scelte.

Gioco degli specchi per Nicolò Carnesi (PHOTO CREDIT: Stefano Masselli)
Gioco degli specchi per Nicolò Carnesi (PHOTO CREDIT: Stefano Masselli)

Questo il filo rosso che si dipana nello scorrere dei minuti all’ascolto del nuovo album di Nicolò Carnesi. Il quarto lavoro dell’artista siciliano 32enne è forse il suo migliore, una conferma di talento e un viaggio intimista che indossa alla perfezione l’abito autunnale.

Per la mia generazione l’ansia è diventata una condizione quasi normale, dovuta all’impossibilità di intravedere una prospettiva, proiettarsi in avanti nel tempo, collocarsi in un futuro percepibile.
Il tempo è quanto di più prezioso abbiamo e, nello stesso momento,
ciò che più ci manca”.

Le parole del cantautore palermitano: per lui il nuovo album è una “promessa di tempo nei confronti degli altri e anche di me stesso, la voglia e la necessità di avere una prospettiva, un futuro, ma anche un presente che abbia una sua dimensione autentica”.

Un altro iconico scatto per il cantautore palermitano (PHOTO CREDIT: Rockit.it)
Un altro iconico scatto per il cantautore palermitano (PHOTO CREDIT: Rockit.it)

È davvero il tempo, dunque, il motore di questo disco, tra canzoni che “scandiscono la narrazione in storie frammentate di relazioni che nascono, evolvono, vivono l’illusione del presente, si condizionano a vicenda e terminano, percorrendo un loop infinito, una temporalità circolare in cui tutto è già successo e tutto deve ancora accadere”.

Un album che, musicalmente, si apre e si chiude con “l’lllusione” del canto filtrato dall’effetto ‘auto-tune’: un escamotage che parrebbe quasi affidare a qualcun altro idee e pensieri in un gioco di specchi.

Quello di Nicolò è un lavoro gradevole, orecchiabile, ben scritto e prodotto. Che concede lo spazio che conta alla voce e alle tastiere (piano, synth), alla programmazione digitale, relegando le care vecchie chitarre a una funzione per lo più ritmica e di accompagnamento.

La clip di “Turisti d’appartamento”, il primo singolo

No a inutili virtuosismi strumentali: a parte un brano in chiusura che vede la presenza dei fiati e poi qualche tocco di sax altrove, la sensazione è quella di entrare in un ambiente essenziale, post-moderno, leggero e ovattato come una nuvola bianca nel cielo azzurro metropolitano di ottobre.

E’ una coltre di nebbia, nostalgia che ti prende allo stomaco con tutto il corollario di consapevolezze tardive, scoperte amare e foglie secche che cadono sul prato del parco sotto casa.

“Ho Bisogno di dirti domani” riscalda come una coperta di Linus, malgrado lo stato di letargo e attesa in cui si trova l’attore protagonista.

Stilisticamente, volendo affiancare qualche nome per restituire un panorama, diremmo che ci si trova dalle parti del miglior cantautorato di ieri (gli anni 1977/1985 del pop nostrano, tra “Io Tu Noi Tutti” di Battisti e poi Dalla/Carboni/Stadio) e di oggi (Brunori, Dente, Dimartino, Colapesce, con qualche episodio che non avrebbe sfigurato in ‘Fuoricampo’ di Tommaso Paradiso/TheGiornalisti).

Il videoclip di “Borotalco”, secondo singolo estratto

Eppure l’autore sembra presagire nuovi giorni folli e felici. Una primavera, una guarigione, giorni estivi di pesche, di avventure, di navigazione controcorrente e senza rimpianti.

Ma non ora: quasi tutto nell’immediato pare volgarità e non c’è voglia di alzarsi dal letto. Ci si sente fuori contesto e fuori luogo. E qui si innestano le riflessioni più felici e feconde dell’artista siciliano: quelle sul futuro e sul presunto “progresso”. Lo strapotere informatico e tecnologico declinato attraverso i Social Network.

Il sentirsi sempre più distanti dalle piccole cose che non guardiamo più. Eppure SEMPRE presenti e accesi e iper-connessi. Ci chiediamo se siamo felici e la risposta ha il suono della tastiera del Pc.
“Condividere” per nascondere la solitudine nelle nostre stanze.
“Navigare” senza andare mai da nessuna parte, finendo per naufragare in un luogo non meglio identificato.

Ariel Bertoldo