L’8 marzo è una celebrazione in tutto il mondo. Da tantissimi è, però, chiamata “festa” e non Giornata della donna. Ma non c’è niente da festeggiare: i dati su equità, disparità salariale, violenza domestica e di genere sono ancora allarmanti. E se la Francia festeggia l’introduzione dell’aborto in Costituzione, in Italia regaliamo “gusti di gelato” dedicati.
Come nasce la Giornata della donna, “Women’s day”
Questa giornata, chiamata Woman’s Day negli Stati Uniti, ha delle origini ben specifiche. È usanza comune associarla all’incendio avvenuto in una fabbrica di New York nei primi anni del ‘900, l’8 marzo. L’incendio ci fu, ma risale al 12 marzo, e provocò la morte di tantissime donne a causa delle pessime condizioni di lavoro. Ma non tutti sanno che solo dopo qualche tempo dal VII Congresso della II Internazionale socialista, tenutosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, prese la parola la socialista e attivista dei diritti delle donne Corinne Brown. Che colse l’occasione per parlare dello sfruttamento delle operaie, delle discriminazioni sessuali e della necessità del suffragio universale.
Ovviamente l’intervento non fu causa di ottenimento di nessun diritto. Ma fu invece un importante punto di partenza per risvegliare le coscienze. Così, iniziarono le prime battaglie e manifestazioni. Si arrivò dunque alla celebrazione della prima Giornata della donna, il 28 febbraio 1909. E la vera svolta arriva nel 1910, quando 20mila operaie scioperarono per ben tre mesi a New York. Da qui, la Conferenza internazionale delle donne socialiste di Copenaghen, istituì la giornata di rivendicazione dei diritti femminili. E così in tutta Europa si smossero le coscienze, dando il via a una stagione di manifestazioni che durò fino alla Prima Guerra Mondiale.
La Giornata della donna ha come data quella dell’8 marzo non a caso. Ha invece origini russe. L’8 marzo del 1917, a San Pietroburgo, alcune donne si riunirono in una grande manifestazione. L’obiettivo era quello di rivendicare i loro sacrosanti diritti, ma anche la fine della guerra. Un appello inascoltato che sfociò nella Rivoluzione russa.
Quali sono i temi su cui riflettere
In Italia le donne guadagnano in media 8 mila euro in meno all’anno rispetto agli uomini (dai dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps). Sia operaie, che libere professioniste, studentesse e anche e sportive devono fare i conti ogni giorno con stipendi più bassi. E non solo: notevole anche la carenza di strutture a disposizione delle lavoratrici. Questo a causa della mancanza di una politica di sostegno adeguata. E questo causa, nella percezione (ma anche nella realtà dei fatti), la classificazione delle lavoratrici come cittadine di serie B. E non solo in Italia, anche nel resto d’Europa.
In Gran Bretagna, ad esempio, oltre 50 mila lavoratrici hanno fatto causa a un’azienda per discriminazione salariale. E questo ha effetti disastrosi non solo sul singolo, e sulla dignità delle dipendenti, ma anche sull’economia nazionale. È stato dimostrato infatti che una retribuzione paritaria rende più alto il PIL. E non solo: dietro i casi di violenza domestica, il più delle volte la causa è nella mancanza di indipendenza economica delle vittime.
E su questo il Parlamento europeo ha provato a intervenire direttamente sul problema. Ed ha approvato la direttiva sulla trasparenza salariale, che pone fine al cosiddetto “segreto retributivo”. In base alle nuove norme, infatti, le imprese dell’UE saranno tenute a fornire informazioni sulle retribuzioni. Ma soprattutto, a intervenire se il divario retributivo di genere supera il 5%. La mancanza di trasparenza retributiva è uno dei principali ostacoli all’eliminazione del divario retributivo di genere.
Una lunghissima battaglia, non solo nella Giornata della donna
La disparità salariale, ben lontana dall’essere un ricordo, non è l’unico motivo per cui oggi non c’è niente da festeggiare. Il complicato sistema patriarcale nel quale siamo tutt* coinvolt*, restituisce una sovrastruttura di sottile violenza, perpetrata nei più consueti gesti quotidiani. La convinzione che un mazzo di mimose possa cancellare e far passare in secondo piano secoli e secoli di prevaricazione è forte ancora oggi, nel 2024.
E non si tratta di un tema “medievale”. Tantissime donne sono relegate al buio della storia non raccontata. Violenza che prosegue ancora oggi: ricordiamo il caso della problematica mostra su Artemisia Gentileschi. Così come tantissime scienziate i cui meriti sono andati ad altri uomini. Ricordiamo Jocelyn Bell, scopritrice della prima stella pulsar, il cui meritò inizialmente andò al suo relatore. Un fenomeno talmente diffuso tanto da avere un nome: il cosiddetto “Effetto Matilda“, in onore di Matilda Gage, una delle prime attiviste per i diritti delle donne.
Il primo esempio nella storia è quello che riguarda Trotula de Ruggiero, una delle Mulieres Salernitanae della famosa Scuola di medicina nata nel XII secolo. Nonostante fosse medica e docente, Trotula scrisse e firmò opere attribuite ad un inesistente medico, “Trottus”. Così, molto spesso, ricercatrici e studiose sono state costrette ad auto ghettizzarsi in circoli al femminile, per poter vedere i loro meriti riconosciuti attraverso la sorellanza.
Purtroppo la disparità non si ferma al salario. Le storie di violenza, coercizione e morte sono all’ordine del giorno. E la violenza dilaga non solo nel culmine della morte. La troviamo nelle espressioni più comuni, nelle insegne, nelle pubblicità, nei tantissimi post e commenti sui social. Quella di oggi non è una festa, è una commemorazione: per tutte le sorelle che non possono raccontare più la loro storia. Ci siamo noi.
Marianna Soru
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