“Non puoi entrare”, così l’Ucraina blocca la stampa estera

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Di Mario Marrandino

“Tu, giornalista, il tuo nome è nella black list dei servizi, ci hanno detto che non puoi entrare in Ucraina. Non sei gradito. Prendi le tue cose e seguimi”.

Non è l’incipit di un film sugli 007, né di un libro inerente il conflitto ucraino, è quanto un soldato ucraino ha riferito al giornalista Salvatore Garzillo, prima di esser scortato dal vagone del treno su cui viaggiava dalla Polonia all’Ucraina, fino alla più vicina caserma e successivamente alla frontiera di Medyka.

Chi è Garzillo?

Come testimonia lo stesso giornalista, sia sui social che sulla piattaforma d’informazione, il suo lavoro in Ucraina risale fin dai primi conflitti del 2014, viaggiando per il paese in lungo e in largo, attraversando sia le zone più tranquille che quelle più calde, documentando senza esclusione di colpi in particolare i primi mesi d’invasione a partire dal giorno zero, febbraio 2022, e raccontando della resistenza di Leopoli, delle trincee di Sjevjerodonec’k, del profondo Donbass e delle “catacombe” di Avdiivka, «dove gli ucraini vivono sottoterra a cento metri dalle linee russe», citando Garzillo.

Il suo viaggio serviva a consentirgli la presenza entro i confini ucraini in tempo per il 24 febbraio, data in cui cade l’anniversario dell’inizio della guerra, ma nella notte del 14 febbraio, all’attraversamento del confine polacco, scopre di essere un ospite sgradito. Bandito per cinque anni.

Interfacciandosi con le autorità italiane, sono emersi dati altrettanto allarmanti: no, non è stato un errore e nemmeno “umorismo militare”, come ironizza il reporter, e non è il solo professionista italiano a non poter entrare nel paese; sono ben 8, infatti, i giornalisti nostrani coinvolti in questa black list stilata dal servizio di sicurezza SBU, Służba Bezpieczeństwa Ukrainy, e i motivi del respingimento non sono stati comunicati.

La black list e l’UE

L’allarme lanciato merita la dovuta amplificazione nei media mainstream perché l’esistenza stessa di questa black list non fa altro che distorcere l’immagine dell’Ucraina in quanto paese che vuole avvicinarsi sempre più all’Europa e inevitabilmente la rende più vicina alla controparte da cui invece cerca ormai strenuamente da un anno di difendersi, sia con l’artiglieria, sia con strumenti di contro-propaganda utili a evitare che la comunicazione filorussa vada ad avvelenare il lavoro dei giornalisti ucraini ed europei che invece cercano di raccontare la storia del conflitto vista dalle metropolitane, dai bunker senza acqua né elettricità e dalle strade distrutte e deserte.

Ancora, la questione è da approfondire soprattutto perché l’esistenza stessa di questa black list, mi ripeto, crea un danno non solo a Kyiv ma anche alla comunità internazionale: se per restare nei confini e raccontare gli eventi della guerra bisogna essere delle voci poste al vaglio dell’intelligence, si creerà inevitabilmente una narrazione fortemente politicizzata, acritica e filtrata e qui non abbiamo difronte l’algoritmo di un qualche social che ci propina pubblicità di prodotti di nostro interesse, c’è la guerra, ci sono i soldati, le bombe, i tank e i morti, “questa non è informazione”, chiosa Salvatore Garzillo, “è comunicazione, e la comunicazione non la fanno i cronisti”.

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