Non siamo in dittatura ma in emergenza sanitaria: mancano medici e infermieri

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Di Maria Paola Pizzonia

Mancano medici e infermieri: è emergenza sanitaria. Ci troviamo a due anni dall’inizio della pandemia e non si è risolto il problema della mancanza di personale negli ospedali italiani. Non è un segreto che la questione riguarda i tagli e una programmazione inadeguata.

Ci troviamo in una situazione particolare. Ad oggi i reparti e le terapie intensive sono tornate a riempirsi per la diffusione della variante omicron ed è un dato di fatto. I numeri potrebbero sembrare preoccupanti e in molti ospedali italiani è rimasta valida la stessa strategia delle prime tre ondate. La strategia è la seguente: il rinvio diverse operazioni programmate. Questo significa l’annullamento tutte o parte delle ferie degli operatori sanitari. Non solo: significa l’aumento le ore di lavoro straordinario, sono stati aggiunti posti letto e riconvertiti interi reparti.

«Siamo ormai a quasi 20mila ricoverati, un numero non lontano dai 25mila dello tsunami della prima ondata»

F.I.O.

 ha dichiarato qualche giorno fa la Federazione internisti ospedalieri.

Cosa è cambiato in questi anni di emergenza sanitaria

Medici e infermieri non sono più impreparati come potevano esserlo a marzo 2020, è evidente. Tuttavia l’attenzione va sul fatto che si tratta praticamente degli stessi medici e infermieri di allora. Purtroppo solo più stanchi e provati da un lungo e faticoso periodo di emergenza. A due anni di distanza dall’inizio della pandemia, la carenza di personale – ingerenza già evidente durante i primi mesi dell’epidemia – non ha ancora visto una soluzione.

C’è poco da fare. Mancano anestesisti, medici nei pronto soccorso, chirurghi, infermieri specializzati nell’assistenza delle persone ricoverate in terapia intensiva.

Il problema è molto preoccupante secondo le associazioni che rappresentano gli operatori sanitari. Si tratta di un argomento del tutto nuovo, emergenza di livello storico. Oltretutto negli ultimi due anni il problema è stato affrontato solo in parte grazie all’assunzione di migliaia di medici e infermieri con contratti a tempo determinato.

Oltre ai contratti, va visto che anche gli interventi da parte dal governo si possono definire parziali. Parziali, cioè pensati per il brevissimo periodo, quindi non strutturali. Il personale che aveva prestato servizio durante l’emergenza è stato messo in regola solo parzialmente con l’ultima legge di Bilancio. La misura servirà a coprire le carenze nei prossimi mesi, ma non a programmare il futuro dell’assistenza sanitaria ospedaliera.

È complesso stimare con precisione quanti medici e infermieri manchino oggi negli ospedali, perché non esistono dati aggiornati che mostrino con esattezza quanti siano attualmente in servizio.

Cosa è importante sapere sul coronavirus

Secondo Carlo Palermo, segretario dell’ANAAO Assomed, uno dei principali sindacati di medici ospedalieri, la situazione è critica. Tuttavia oggi la situazione è preoccupante non solo a causa del coronavirus: i problemi c’erano già prima dell’epidemia.

«Tra il 2009 e il 2019, ultimo anno in cui possiamo leggere i dati, c’è stato un taglio di circa 46mila posti tra gli operatori sanitari, tra cui circa 6.000 medici. Siamo arrivati all’appuntamento con la storia indeboliti, in condizioni stremate, perché dovevamo rientrare nei parametri economici dell’Unione Europea. Considerando le pensioni, le dimissioni e i nuovi ingressi, possiamo stimare che negli ospedali italiani manchino 15mila medici, come minimo».

Carlo Palermo

La parola di sindacati e associazioni non è clemente. Negli ultimi due anni uno degli errori più grossolani è stato discutere degli spazi più che delle professionalità. Si è dato grande peso all’aumento dei posti in terapia intensiva e negli altri reparti senza considerare chi avrebbe lavorato intorno a quei letti.

Ogni paziente deve essere assistito da un numero adeguato di operatori sanitari. Questa valutazione fa intendere un rapporto che non è stato quasi mai rispettato, se non spostando medici e infermieri da altri reparti. Ovviamente ciò significa la limitazione altri servizi sanitari come esami e operazioni programmate. È uno dei danni collaterali più sottovalutati dell’epidemia, causato dalla carenza di operatori sanitari, e con effetti difficilmente calcolabili nei prossimi anni.

I motivi di questa emergenza sanitaria

Dall’inizio dell’epidemia c’è stata un’aggiunta di circa mille posti letto effettivi nelle terapie intensive dopo che per anni erano stati tagliati. Nella prima fase dell’emergenza il divario tra numero di letti e operatori è stato meno gravoso. Ma questo semplicemente perché nelle terapie intensive sono giunti molti medici che negli altri reparti avevano meno lavoro a causa del lockdown. Si parla dei i medici e gli infermieri dei reparti i traumatologia.

Ma oggi la situazione è molto diversa. Questo perché all’emergenza coronavirus si sono aggiunti altri problemi che gravano sulla sanità. Si parla di incidenti stradali, infarti, infortuni più o meno gravi.

Negli ospedali la pressione di malati di COVID-19 è diventata insostenibile. Per questo motivo riscontriamo nel tempo una concentrazione le risorse nelle terapie intensive, rimandando l’attività ordinaria.

«Nella prima ondata abbiamo fatto fronte all’aumento di posti in terapia intensiva facendo i salti mortali con turni infiniti, saltando ferie e riposi. Arrivati alla quarta ondata, i nostri colleghi sono duramente provati da quasi due anni pesantissimi. Non è possibile continuare a scaricare sugli ospedali l’intero peso di un’emergenza che, come ormai abbiamo visto, è ciclica».

Alessandro Vergallo

Vergallo ha spiegato che nelle terapie intensive degli ospedali italiani possono essere gestiti al massimo 7.500 posti letto. Alessandro Vergallo è presidente di AAROI EMAC, l’organizzazione sindacale dei medici di Anestesia e Rianimazione, 118 e pronto soccorso.

Quale dato in più

Secondo AGENAS, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, al momento i posti sono 9.637. Questo numero è stato raggiunto dopo l’aumento dei posti letto deciso dalle Regioni nelle ultime settimane. Il tutto con l’obiettivo di non rientrare nei criteri stabiliti dal governo per passare nella zona di colore successivo, con misure restrittive maggiori. Inoltre alcune volte questo aumento è avvenuto in maniera improvvisa, con centinaia di posti creati in un solo giorno.

Per il personale ospedaliero (dati ricavati da un’inchiesta de “Il Post”) non è cambiato nulla. Sono cresciute solo le ore di lavoro.Vergallo ha definito i passaggi di quello che ritiene un circolo vizioso:

«Aumentare i posti “teorici”, allentare le restrizioni, far circolare la malattia in forma anche grave continuando a sovraccaricare l’intero sistema ospedaliero, compresi i pronto soccorso, anche relativamente all’assistenza extra Covid. Un vero gioco al massacro al quale non abbiamo intenzione di prestarci, e relativamente al quale non escludiamo azioni di protesta».

Alessandro Vergallo

Nuove assunzioni per far fronte all’emergenza sanitaria?

Una parte consistente del personale che era stata assunta a tempo determinato è stata stabilizzata con un provvedimento approvato nell’ultima legge di Bilancio. Le stime della FIASO, la Federazione italiana delle aziende sanitarie ospedaliere, dicono che in totale i professionisti interessati dalla stabilizzazione sono 47.994. In particolare il provvedimento riguarda 8.438 medici, 22.507 infermieri e 17.049 operatori sociosanitari e altro personale sanitario.

Anche in questo caso potrebbe sembrare un’ottima notizia, ma ai calcoli sul bilancio dei prossimi anni vanno sottratti i professionisti che andranno in pensione. Secondo uno studio della FIASO, tra il 2020 e il 2024 termineranno il loro lavoro 35.129 medici, 58.339 infermieri, 38.483 unità di altro personale. Analizzando i flussi in uscita con quelli in entrata, rappresentati da coloro che hanno concluso la formazione, tra il 2020 e il 2024 ci saranno circa 8.299 medici e 10.054 infermieri in meno a disposizione del servizio sanitario nazionale.

Un altro problema non trascurabile riguarda medici e infermieri che si sono dimessi, sono passati alle strutture private, sono andati all’estero o hanno addirittura cambiato lavoro.

Pierino Di Silverio, responsabile nazionale di ANAAO Giovani, sostiene che gli abbandoni aumenteranno sempre di più perché le condizioni di lavoro negli ospedali sono diventate proibitive e in alcune realtà perfino disumane.

«È inammissibile che un paziente abbia la libertà di entrare in pronto soccorso, picchiare medici e infermieri, e andare via senza che nessuno dica niente. I turni sono molto più lunghi e faticosi, il guadagno è relativo. Siamo sfruttati e malmenati. In queste condizioni è normale che dopo la specializzazione il 30 per cento dei medici scelga di lavorare nelle strutture private».

Pierino di Saverio

Articolo di Maria Paola Pizzonia