Ammettiamolo, siamo tutti connessi h24 per curare la nostra vita social.
Chi per moda, chi per gossip (ah vedi? La tipa strafiga con le borse ha cambiato trecentesimo fidanzato!), chi per noia (quando il capo non c’è i dipendenti ballano), chi per rimorchio, chi per bisogno di attenzioni…
Passare più di 2 ore senza vedere le ultime storie può diventare un problema, uno psicologo la chiamerebbe una patologia, noi lo chiameremo una sana curiosità per ciò che ci circonda (casa Kardashian è a uno schioppo di aereo).
Sia che riconosciamo o no il nostro problema di connessione perenne, il vero problema è riuscire a delimitare la vita privata da quella pubblica. Pur non essendo vip, ormai nel bene e nel male, tutti noi abbiamo una doppia vita (ok niente red carpet ma vuoi mettere la storia con le amiche mentre cantiamo in macchina?).
La domanda che sorge spontanea è: “Ma se non abbiamo una vita da cantante/ modella cosa pubblichiamo quotidianamente?” Semplice, pubblichiamo la migliore versione di noi. La versione truccata, infighettata, spumeggiante che ride dall’alba al tramonto. E se un giorno ci svegliamo tristi e non ci va di truccarci c’è il filtro giusto per noi, il filtro magico che farà sparire rabbia e tristezza dal nostro volto.
Nel secolo della condivisione, l’ultimo tabù rimasto è forse proprio la condivisione del dolore, della tristezza. Ambiamo ad essere ammirati, anche un po’ invidiati, ma mai e poi mai ad essere compatiti o consolati. L’epoca del selfie perfetto permette tutto tranne le occhiaie e le borse sotto gli occhi. La verità è che l’altra faccia della medaglia non ha sèguito. La tristezza pur derivando da cose belle, che non sarebbero tali senza sofferenza, ottengono solo dislike. Le cicatrici dell’anima sono una vergogna, sono peggio dei brufoli, anche se, senza, non saremmo chi siamo.
Le ferite ci arricchiscono, che ci piaccia o no, ci rendono chi siamo. I giorni belli torneranno, questo è certo, così come domani sorgerà ancora il sole. Bisogna accettare che le cose belle, le cose che meritano davvero la pena, i momenti felici possiedano tanto dolore quanto felicità.
Forse dovremmo imparare a non avere paura del dolore. Forse dovremmo imparare ad accettare di non poter piacere sempre. Forse dovremmo semplicemente imparare a vivere.