L’organizzazione fondata dal 24enne olandese Boyan Slat ritorna nell’oceano Pacifico per testare le modifiche apportate alla barriera galleggiante dopo i test negativi dell’anno scorso.
“The Ocean Cleanup”
Sono partiti i nuovi test di “The Ocean Cleanup”, l’organizzazione fondata da Boyan Slat, che ha come obbiettivo quello di ripulire l’oceano Pacifico dalla Great Pacific Garbage Patch, l’isola galleggiante di rifiuti di plastica le cui dimensioni sono stimate tra i 700.000 km² a più di 1,6 milioni di km².
Il progetto “The Ocean Cleanup” si basa sullo sviluppo di una serie di barriere galleggianti a forma di U che dovrebbero raccogliere al proprio interno la plastica galleggiante grazie alla presenza di una rete alta 3 metri posizionata sotto il livello del mare.
Come funziona il dispositivo
I dispositivi, piazzati in punti strategici, si muovono spinti dal vento, dalle correnti e dalle onde, ad una velocità leggermente superiore a quella dei rifiuti di plastica, trattenendoli al proprio interno.
Una volta raggruppati al centro della barriera, questi vengono raccolti da delle navi e portati sulla terraferma per essere riciclati.
Il team, con l’aiuto di strumentazioni che vanno dall’utilizzo di droni per monitorare il movimento delle onde, a gps e strumenti di telemetria piazzati sul dispositivo, può controllare a distanza la barriera.
Battuta d’arresto
I primi test effettuati con il primo prototipo, chiamato Wilston, non hanno prodotto i risultati sperati.
Partita dalla baia di San Francisco l’8 settembre 2018, la barriera è stata testata per quattro mesi, ma i dati raccolti non sono stati incoraggianti.
Anzitutto il dispositivo si muove troppo lentamente per mantenere la plastica al proprio interno, che finisce per disperdersi nuovamente nell’oceano; è stato ipotizzato che l’oscillazione del sistema crei delle vibrazioni che finiscono per annullare la spinta del vento e allontanare i rifiuti.
Il secondo problema riscontrato è il distacco di un pezzo lungo circa 20 metri posto all’estremità.
In molti ipotizzano che il sistema, così come progettato, non possa reggere al forte impatto metereologico dell’oceano Pacifico, finendo per distruggersi e disperdersi nell’ambiente.
Molto più incoraggianti invece i risultati inerenti all’interazione della fauna marina con il sistema.
Fin dal primo test, l’organizzazione ha monitorato il comportamento di diverse specie di animali come uccelli, pesci, e soprattutto delfini e tartarughe che si muovono appena sotto il livello del mare.
Dopo aver osservato queste specie durante i 141 giorni di test, l’organizzazione non ha rivelato nessuna interazione critica tra gli animali e il dispositivo.
Le voci critiche
Sono in molti ad essere scettici circa la riuscita della missione intrapresa dal team di “The Ocean Cleanup”.
L’architetto Arthur Huang, esperto della questione del riutilizzo della plastica riciclata, ha detto a Dezeen.com che “The Ocean Cleanup” non è una soluzione plausibile e che distoglie l’attenzione da tutti gli altri progetti che mirano ad impedire lo sversamento della plastica nei mari.
Dello stesso parere è il capo scienziato di Ocean Conservancy, George Leonard:
“Io non credo che funzionarà, ma lo spero. Il mare ha bisogno di tutto l’aiuto possibile”.
In un’intervista rilasciata a Sara D’agati per brokennature.org, l’ambientalista e inviata di Striscia la Notizia, Cristina Gabetti, ha espresso lo stesso scetticismo:
“In generale, ora che le questioni ambientali stanno facendo scalpore ovunque, le persone sono ansiose di trovare una via d’uscita, ma rischiano di cadere nella trappola delle soluzioni facili.
Un buon esempio è “The Ocean Cleanup”. Boyan Slat ha raccolto 35 milioni di dollari per finanziare le sue reti per raccogliere la plastica negli oceani. È stato un sogno che ha sedotto molti, inclusa me, ma poi ho scavato più a fondo e ho capito che non aveva senso. Una volta raccolta la plastica, che ne facciamo? Quanta energia abbiamo bisogno per portare enormi barconi in profondità negli oceani e tornare a riva?”
Le dimensioni del fenomeno
Nel frattempo che la comunità scientifica riesca a trovare una soluzione, il problema sembra ingigantirsi; si stima che, continuando di questo passo, entro il 2050 la quantità di plastica presente negli oceani di tutto il mondo supererà superiore a quella di tutti i pesci.
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