Once upon a time in Hollywood– Esce nelle sale il nuovo e attesissimo film di Quentin Tarantino ed è subito spaccatura netta di opinioni. C’è chi ha urlato al capolavoro, chi lo ha stroncato amaramente rimpiangendo un Tarantino diverso e più grintoso, chi si è addormentato in sala, chi si è lasciato trasportare anche dai titoli di coda.
Capolavoro o disastro?
Ma qual è la verità? Once upon a time in Hollywood è davvero un capolavoro? O siamo di fronte al disastro del regista “DJ” più famoso di Los Angeles?
Dopo una lunga, lunghissima attesa che ci ha fatto stare con l’acquolina alla bocca per mesi, spettatori fuoricampo dello sfarzoso mondo dei festival del cinema, dove il film di Tarantino veniva presentato e proiettato con grande livore della sottoscritta, finalmente l’approdo al cinema. Finalmente le prime recensioni, e le prime stroncature.

Una fiaba holywoodiana
Il film di Tarantino è un’immersione a 360° nella Hollywood del 1969. La tipica pellicola che fa gola ai cinefili ammiratori della materia. La demolizione del film è avvenuta, inquadratura dopo inquadratura, a causa dell’esagerato pastiche stilistico tanto amato dal regista hollywoodiano; tuttavia, secondo i più, qui, pecca di autocitazionismo.
Partendo dal presupposto che un’opera cinematografica non deve per forza veicolare un messaggio o una morale, Once upon a time in…Hollywood immerge lo spettatore nel tourbillon hollywoddiano del quale Tarantino è, prima di tutti noi, spettatore ed estimatore devoto. Come ci suggerisce già il titolo, il film racconta una fiaba.
Once upon a time è la locuzione d’apertura di tutte le favole che ci venivano raccontate da bambini. Se vi aspettavate di vedere un film sanguinolento e pieno di dialoghi accattivanti e tamburellanti come ne Le Iene e in Pulp fiction, mi spiace deludervi, ma non è quello che troverete.

Il nono film di Tarantino (numerazione fornita dal regista stesso: Kill Bill, vol. 1 e vol.2 viene considerata una grande opera; Grindhouse non viene contato) rovescia le carte in tavola arrivando all’apice della sperimentazione registica, cum grano salis. Come in Bastardi senza gloria, il film è concepito in chiave ucronica: una riscrittura e re-interpretazione di eventi storicamente condivisi per dovere di cronaca.
Il registro meta-cinematografico e il confronto con la propria carriera registica
Due sono gli elementi con i quali confrontarsi per tentare una possibile interpretazione dell’opera:
1- La visione metacinematografica
2- Citazioni, quasi ossessive, ai suoi film.
Durante tutta la durata del film si respira una pesante scissione. La profonda dicotomia realtà-finzione pervade tutta la pellicola e catapulta il pubblico in sala, una volta nel ruolo di spettatore, una volta nel ruolo di regista. La linearità delle due storie narrate (La storia di Rick Dalton – Leonardo Di Caprio– e Cliff Booth–Brad Pitt– ; la storia di Sharon Tate–Margot Robbie– e la Manson Family) si contamina con la pluralità della finzione scenica.

C’è in Tarantino la volontà di annullamento della quarta parete . Il velo di Maya viene squarciato nel momento in cui Cliff Booth torna a casa dopo una lunga giornata passata con Rick Dalton. L’inquadratura dall’alto (forse girata in dolly) scopre la vista di un cinema all’aperto. Il classico drive-in americano, con gli spettatori comodamente posizionati nelle vetture, impegnati a godersi la visione di un film. La telecamera, piano piano, si abbassa svelando ciò che si trova dietro lo schermo da proiezione: la roulotte dello stuntman Booth.
Chiara -d’ora in avanti- la lente d’ingrandimento della quale bisogna munirsi per guardare ed apprezzare questa pellicola: il metacinema.
La scelta registica di Tarantino allarma un po’ circa il suo ritiro dal mondo del cinema. In effetti in Once upon a time in Hollywood le reiterate citazioni ai film di sua paternità sembrano confermare questa teoria. Il nono film di Tarantino si configurerebbe come un grande omaggio ai suoi grandi amori: Hollywood, gli Spaghetti western e la sua lunga carriera da cineasta. (Speriamo di no).
Citazioni attoriali, prima che filmiche: Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Kurt Russell. (Sono tutti attori apparsi in ruoli protagonisti e non nei suoi più grandi film di successo).
Opinioni sul finale
Il finale è uno sfogo catartico, squisitamente directed by Quentin Tarantino. – E rendiamo grazie-. Tutto il film si innerva, si contrae, si irrigidisce (metaforicamente nella pelle e nelle mani di Bradi Pitt) per poi esplodere in completo abbandono fisico- non è un caso che Cliff Booth abbia i sensi offuscati dalla droga- attraverso le violenti scazzottate dello stuntman.
In questo modo, come era già successo in Bastardi senza gloria, la storia, come tutti la conosciamo, viene cambiata e ha una sua redenzione, possibile solo grazie alla magia del grande schermo. E come in tutte le più belle favole “E vissero per sempre, felici e contenti”.
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