Dopo tante avvisaglie della svolta autoritaria di Viktor Orbán , primo ministro ungherese, e le risposte tentennati dell’Europa, arriva da Bruxelles un’azione incisiva. L’ultima bravata dell’agitatore di masse ungherese, una legge che vieta di parlare di omosessualità con i minori, l’Europa finora distratta e approssimativa alza la testa.

Neanche l’espressione ossimorica “democrazia illiberale” coniata da Orban era riuscita a risvegliare l’assopimento delle istituzioni europee, che ora sembrano aver cambiato rotta.

La nascita del politico Orban

La nascita di Viktor Orbán come politico è segnata da auspici tutt’altro che preoccupanti. Nel 1989 combatte con forza contro i tiranni comunisti e diventa il punto di riferimento del fronte democratico. Vicktor è un uomo carismatico e brillante, tanto lucente nel grigio panorama ungherese che il filantropo ebreo-americano di origine ungherese, George Soros, dopo averlo consciuto, decide di finanziare il suo partitino, Fidesz, e di pagargli una borsa di studio a Oxford per fare ricerca sulle società civili. Una scelta di cui si sarebbe pentito più tardi.

Verso l’autoritarismo

La virata verso l’autoritarismo avviene a circa dieci anni dal suo debutto. Nel 1998 Orbán alla guida della coalizione liberal-democratica viene eletto premier. Alle elezioni successive , nel 2002, subisce inaspettatamente una sconfitta e giura che mai più verrà battuto alle urne. Con parole che suonano come un avvertimento preso poco sul serio, commenta quella sconfitta dicendo: “Dobbiamo vincere una volta, poi faremo la cosa giusta”. Orban dovrà aspettare 8 lunghi anni prima di tornare a vincere una competizione elettorale. È il 2010 infatti quando, sulla scia di uno scandalo che colpisce i socialisti ungheresi, Orbán conquista i due terzi del parlamento. Una maggioranza talmente ampia che gli permette di modificare la Costituzione. È allora che si reinventa campione di una battaglia di civiltà, in difesa della famiglia, della cristianità e della nazione contro “la santa alleanza dei burocrati di Bruxelles, dei media progressisti e del capitale internazionale”.

Orban ridisegna i collegi elettorali i modo tale da favorire Fidesz e, dopo aver aumentato il numero di giudici costituzionali, impone loro le dimissioni al 62esimo anno di età. Una mossa studiata che gli permette di riempire la Corte Suprema di fedelissimi. Non pago, crea un organismo centrale per i media controllato dal governo, toglie l’insegnamento universitario a centinaia di professori liberali, cambia i direttori dei teatri mettendovi uomini di sua fiducia.

Il (finto) complotto Soros

Soros, mentore di Orbán, diventa in poco tempo il capro espiatorio dei malumori ungheresi, il centro di un fantasioso complotto ordito ai danni del popolo. Ma procediamo per gradi. Nel 2015 a seguito dell’apertura della rotta siriana arrivano in Ungheria migliaia di rifugiati siriani che cercano di arrivare in Germania. Orbán prima li blocca, poi li fa partire quando la cancelliera Merkel annuncia che terrà aperte le frontiere tedesche, quindi sigilla i confini col filo spinato. Contemporaneamente, mette in piedi una narrazione che fa leva sull‘odio e la paura della gente, a cui presenta i siriani in fuga come un’orda barbara pronta a privarli di tutto ciò che hanno, strumento di un complotto internazionale contro l’Ungheria. Viene alla luce un antisemitismo becero, alimentato dagli stereotipi.

Ed ecco che entra in gioco Soros: sarebbe lui il burattinaio, quello che muove i fili di questa cospirazione. Indirettamente il bersaglio di Orbán è una delle “creature” di Soros: la Central European University, l’ateneo che il filantropo ha fondato a Budapest dopo la fine della Guerra fredda e diventata uno dei migliori centri di studio del Centro Europa. Per Orbán è un covo di sovversivi e piano piano, con leggi e atti amministrativi, la costringe a togliersi di mezzo.

L’ultima arma: la cleptocrazia

Orbán non si ferma e sfodera l’ultima arma a sua disposizione: censura e controllo economico dei media. Del 2017, infatti, il 90% dei media privati appartengano allo Stato o a imprenditori vicini a Fidesz. Gli osservatori internazionali definiscono il sistema profondamente corrotto messo in piedi da Orbán “cleptocrazia”. Il governo di Orbán controlla l’intera economia e assegna a chiamata diretta i più importanti contratti pubblici. Assegnazioni che ricadono sempre sugli amici degli amici. Ágnes Heller, filosofa ungherese di fama internazionale, nel 2018 aveva cercato di lanciare l’allarme:

 “Viktor Orbán ha abolito la libertà di stampa, usa i fondi europei per arricchire amici e familiari, mentre scuole e sanità pubblica sono in una situazione tragica. E vuole controllare anche la cultura: sa che nell’unico libro di Storia ora in uso nei licei, l’ultimo capitolo è dedicato a lui? Non l’aveva fatto neppure Janos Kádár, ai tempi del regime comunista. Orbán è ormai un tiranno“.

Una Cassandra inascoltata, purtroppo.

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Giulia Moretti