E’ l’ultima opera di Pier Paolo Pasolini- Petrolio- pubblicata postuma ma che rappresenta tutta l’intera opera del poeta friulano: il dramma dell’esistenza. 

Sembra un’opera rimasta sola, senza interlocutore, è l’opera- tutta- che si rassegna al dramma dell’uomo, quella dove non c’è davvero più nulla da fare se non ammettere che i giochi son fatti, che non ci resta che guardare dall’alto la tragedia e riderne. 

Pasolini non definisce Petrolio un romanzo ma un “blocco di segni”, appunti in ordine disperso, volutamente e per definizione incompiuto. E’ il rifiuto non solo della menzogna ma anche di ogni forma narrativa, perché anche le parole ci ingannano. 

 

Petrolio è la storia di un uomo qualunque, un po’ borghese, un po’ affetto dalla malattia del potere, decisamente affetto dalla malattia dell’identità, che è poi la stessa rincorsa. E’ il potere come possesso, l’ossessione borghese della propria identità, di non vedere null’altro fuori dalla logica del proprio potere. 

Petrolio, allora, è anche la storia del peccato, è anche la storia di Pasolini stesso, e quindi di molti di noi. E’ la partita a scacchi della storia, anche contemporanea, di movimenti falsi per ottenere quel che neppure possederemo. 

E’ un testo indefinibile che, restando sospeso, indaga la pluralità della condizione umana in un infinito gioco di specchi. E’ un processo che avanza per opposizioni binarie, è la storia di Carlo Valletti, un ingegnere che porta lo stesso nome del padre di Pasolini e che -allo stesso modo- è un uomo educato e rispettoso ma che – a differenza del padre- è un uomo diviso nella sua ambiguità. 

Carlo, una mattina nella sua casa ai Parioli di Roma, si vede cadere a terra e vede due Esseri: è diviso tra due persone al suo interno, due Carlo separati e inseparabili. Uno, il Carlo di Polis, è l’eroe borghese, l’aspetto angelico, il Carlo buono che non disobbedisce i dettami della buona società; l’altro, Carlo di Tetis, è l’aspetto infernale, è fuori dalla cultura, è il Carlo prepotente, l’istinto e la fama, il potere e il sesso.

Tra i due Carlo ce n’è un terzo, Carlo Troya, che incarna la storia reale del banchiere Eugenio Cefis; a differenza degli altri due, Troya non è vittima dell’ossessione dell’identità ma vive sotto il segno del Misto, è un uomo che “sapeva certe cose”, che sapeva giocare le carte dell’ambiguità e del segreto, ed è proprio in questa coscienza che ritrova l’unità, “facendo dello schizoide uno stato naturale”.

Petrolio procede a “brulichio” sotto la luce del sole, ma un sole che non riscalda, come quello dei Ragazzi di vita, è un sole che si sente ma non si vede.

Carlo è diviso tra razionalità e istinto , è una storia che si snoda in un presente dilatato ma che contiene storie ultime, le epochè, storie lontane dove sprofonda l’origine del potere, del peccato. E’ la storia di quando le acque si sono divise, quando l’uomo ha perso l’innocenza. Sono storie che mostrano la nostra storia prima e ultima. 

E’ il momento in cui anche l’opera diventa azione: Carlo è alla stazione di Torino, dopo l’esplosione di una bomba, non ci sono più innocenti, Carlo torna uno solo ma è un uomo mediocre, borghese: è una nuova preistoria. 

Siamo divisi nella nostra unità, contrari della nostra stessa differenza. Siamo Carlo, l’uno, l’altro, il terzo. E’ la storia antica di Uno, nessuno e centomila. E l’ossessione di diventare, oppure di essere?

Rossella Papa