Il nuovo portiere iberico dovrà sconfiggere una delle ataviche maledizioni che attanagliano la Roma americana: il problema delle porte (troppo) girevoli.
È un nuovo inizio per i giallorossi che hanno cambiato, in modo massiccio, quadri dirigenziali, staff tecnico e calciatori. Tra i tanti nuovi volti che affollano Trigoria c’è Pau Lopez, portiere spagnolo arrivato pochi giorni fa dal Betis Siviglia per 23,5 milioni di euro. L’estremo difensore classe ’94 sta gustando l’antipasto della portata capitolina con le prime, poco impegnative, amichevoli stagionali disputate contro Tor Sapienza e Trastevere.
Ieri pomeriggio (ore 18), il portiere ha giocato la sua terza amichevole con la Roma contro il Gubbio, compagine umbra di Serie C. Tralasciando un momento il fattore prettamente legato al calcio giocato, Pau Lopez dovrà spezzare uno degli anatemi più potenti che, come una nuvola temporalesca, oscura il sole sul centro sportivo di Trigoria. Il numero uno dei capitolini, infatti, arriva in giallorosso dopo innumerevoli fallimenti o permanenze lampo dei suoi colleghi. Ripercorriamo tutte le tappe della cosiddetta “maledizione delle porte girevoli“.
Pau Lopez ed i suoi (ex) colleghi romanisti
Il portiere è un uomo solo. Soprattutto nella Roma americana. Pau Lopez è avvertito: nella Capitale, gli estremi difensori arrivano con una data di scadenza prefissata. Per colpe proprie oppure per soddisfare i famelici paletti imposti dal FPF. Quanti numeri uno (qualcuno solo sulla carta, ndr) sono passati all’interno del G.R.A. durante la gestione a stelle e strisce?
Il primo della gestione statunitense fu Maarten Stekelenburg, arrivato nella Città Eterna dopo aver disputato la finale del Mondiale in Sudafrica vinto dalla Spagna ai danni della sua Olanda. Prelevato dall’Ajax per la modica somma di 7 milioni di euro, l’olandese non soddisfò le aspettative: rimase a Roma due anni mettendo insieme 48 presenze in Serie A.
La permanenza biennale di Stekelenburg (70 goal subiti e 12 clean sheet) , oltretutto, non lo vide continuativamente titolare: dopo l’addio di Luis Enrique ed il successivo avvento di Zeman, l’olandese fu relegato in panchina da Mauro Goicoechea, estremo difensore uruguaiano prelevato in prestito con diritto di riscatto dal Danubio. Lo score del maldestro sudamericano fu da brividi: bastarono 15 presenze e 29 goal presi (alcuni conditi da papere incredibili come in Roma-Cagliari) per rispedirlo in panchina e, successivamente, lontano da Trigoria.
La parentesi fortunata chiamata De Sanctis e l’illusione polacca
Dopo l’addio simultaneo del portiere dei Paesi Bassi e dell’uruguaiano, nella prima Roma targata Rudi Garcia (2013/14) arrivò, a parametro zero dal Napoli, Morgan De Sanctis. Come suggerisce il titolo, quella del “Pirata” fu una parentesi fortunata: nonostante fosse arrivato tra mille perplessità, l’estremo difensore cresciuto nel settore giovanile del Pescara mise insieme 75 presenze nella massima serie subendo 56 reti e mantenne la porta inviolata in 37 occasioni durante i tre anni romani.
L’idillo d’amore fu spezzato dall’avvento di Wojciech Szczesny, portiere polacco arrivato in prestito secco dall’Arsenal di Wenger. Dopo una stagione positiva nella Roma, Luciano Spalletti (subentrato a Garcia a campionato in corso) spinse per la riconferma del portiere della Polonia. Detto, fatto: Szczesny si fermò sotto al Colosseo per un’altra stagione in prestito con diritto di riscatto.
Quel riscatto, però, non fu mai esercitato da Pallotta e Sabatini: dopo 72 presenze in A, 72 goal subiti e 22 clean sheet, l’estremo difensore polacco tornò momentaneamente all’Arsenal per accasarsi, in seguito, alla Juventus.
Tristezza Alisson, catastrofe Olsen e presente Pau Lopez
Recente passato e presente da sistemare. Alisson Becker arrivò a Trigoria nella stagione sportiva 2016/17 ma Spalletti, stregato dal portiere polacco, relegò in panchina il futuro portiere più forte del mondo. Dopo un anno di apprendistato, la partenza di Szczesny e l’ingaggio di Eusebio Di Francesco svoltarono la carriera del brasiliano.
Alisson fu l’assoluto protagonista di quella stagione romanista: contribuì, grazie alle sue parate, al terzo posto in classifica ed alla gloriosa semifinale di Champions League ottenuta grazie alla storica rimonta dell’Olimpico contro il Barcellona. Le prodezze del classe ’92 non sfuggirono all’occhio attento di Klopp: il Liverpool, facendo leva sulla voglia del calciatore, strappò il carioca alla Roma versando 72,5 milioni di euro nella casse romaniste. Dopo un solo anno da titolare e 37 presenze in Serie A (28 goal presi e 17 porte chiuse), il portiere più forte del mondo lasciava i romani, per la tristezza generale dei tifosi.
Il prossimo capitolo chiude il cerchio col passato: Robin Olsen, acquistato dal Copenaghen per 11 milioni, ha ereditato per editto di Monchi i galloni da titolare appartenuti al Superman brasiliano. Lo svedese non ha convinto l’ambiente: il pesante passato, errori gravi e l’anno orribile vissuto dalla Roma hanno sancito lo strappo. Olsen è sul mercato, dopo un solo anno nell’Urbe nel quale ha messo insieme 27 presenze e 42 goal subiti. Ennesima vittima della “maledizione delle porte girevoli“, sotto sezione “Colpe proprie“.
Anche Mirante colpito dalla maledizione?
Claudio Ranieri, subentrato a fine campionato a Di Francesco, ha promosso titolare per gli ultimi mesi Antonio Mirante, arrivato a Roma la scorsa estate dal Bologna. L’anatema potrebbe abbattersi anche su di lui: non è certa, infatti, la permanenza dell’ex Parma alla corte di Paulo Fonseca.
Tranne De Sanctis, i portieri della gestione americana sono duranti massimo due anni nella Capitale. Per colpe proprie o per il FPF. Forti o deboli, non conta: la maledizione colpisce tutti, indistintamente. Dopo anni di incertezza, Pau Lopez ha il compito di convincere e di rimanere, il più a lungo possibile, nella Roma. Una sfida che sembra più difficile della vittoria di uno scudetto.
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