Non sembra esserci possibilità di proroga per la “Quota 100” introdotta nel 2019. La fase transitoria del sistema pensionistico, infatti, terminerà a fine anno. Anche la bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza conferma che dal 2022 “Quota 100” non ci sarà più. La forma di pensionamento adottata negli ultimi tre anni sarà quindi sostituita da misure pensate per tutelare categorie di lavoratori con mansioni logoranti.

Insieme alla “Quota 100” scade l’anticipazione pensionistica “Opzione donna”. Molte le proposte sul tavolo dell’esecutivo ma nessuna certezza.  Di sicuro, quindi, c’è solo il ritardo con cui queste misure arriveranno perché aziende e lavoratori dovrebbero già sapere quello che succederà dal primo gennaio 2022. Considerato che da settembre, per effetto del Recovery plan e della ripresa delle attività, l’occupazione dovrebbe aumentare soprattutto per strutture ricettive e ristorazione, le erogazioni di sostegno cesseranno ed inizierà la fase di recupero del rapporto debito/PIL.

Le pensioni

Stando così le cose, nell’ottica dell’esecutivo, un pensionamento tipo quota 100 sarebbe imprudente. In sostanza il problema sarebbe legato all’incapacità del Paese, allo stato attuale, di sostenere tutte le salvaguardie previdenziali stratificate negli anni. Basti pensare a Quota 100, Ape sociale, opzione donna e anticipate. Nel 2022 oltre il 90% delle pensioni sarà calcolata per almeno il 65% con calcolo contributivo. Questo porta ad avere, a 62 anni, una prestazione decurtata di almeno il 10% mentre sarebbe opportuno maturare una pensione più robusta. Se è vero che l’aspettativa di vita post Covid-19 si è statisticamente ridotta (più del 95% dei decessi ha riguardato ultra sessantenni) è molto probabile che dopo la pandemia resterà la stessa e statisticamente dovrebbe riprendere a crescere già dal 2023.

Ipotesi “Quota 102”

I tecnici ritengono necessario reintrodurre, nell’uscita dal lavoro, la flessibilità della Dini-Treu. Il superamento di Quota 100 dovrebbe prevedere tre fattori. Il primo sarebbero «fondi di solidarietà» da reindirizzare a lavoratori con problemi di salute, familiari a carico e lavori pesanti. Secondo fattore sarebbe una legge certa e valida per tutti. Mantenendo i requisiti per la pensione di vecchiaia a 67 anni di età a e almeno 20 di contribuzione, si potrebbe prevedere un pensionamento flessibile a quota 102 con 64 anni di età anagrafica, 38 anni di contributi di cui non più di 2 figurativi (esclusi maternità, servizio militare, riscatti volontari). Infine questo sistema pensionistico dovrebbe prevedere anche per i giovani «contributivi puri», l’integrazione al minimo su valori pari alla maggiorazione sociale (630 euro mese) e calcolati sulla base degli anni lavorati.

di Serena Reda