47 anni fa, i Philadelphia 76ers si accreditavano il titolo di peggior squadra di sempre. Cos’è cambiato oggi? Perché in realtà quella franchigia ha qualcosa in comune con la Phila di oggi? Vediamolo insieme.
Philadelphia 76ers, Trust The Process
Il 25 marzo 1973, i 76ers chiudevano la stagione più disastrosa della loro storia con 9 vittorie e 73 sconfitte, passando alla storia come la peggior franchigia di sempre. 10 anni dopo, riuscirono nell’impresa di vincere l’anello, guidati da Julius Erving e Moses Malone.
A 47 anni di distanza da quel record da incubo, i 76ers sono più che mai tornati ad essere una contender dopo una serie di anni di bassa classifica e delusioni.
Dal 2012 al 2017 la parola playoff suonava più che mai fuori luogo in quel di Philly. Poi, dopo aver atteso due anni il primo e un anno il secondo, entrambi per infortunio, inizia l’era di Joel Embiid e Ben Simmons. Scontato dire che l’ex team da 19, 18 e 10 vittorie in tre anni consecutivi, diventa una delle squadre da battere per arrivare fino in fondo. Come negli anni ’80, anche oggi l’Nba è fatta di cicli, di processi. E mai come in questo caso è saggio saper aspettare e fidarsi.
Philadelphia 76ers, l’era Embiid e Simmons
Dopo anni da peggior record della Lega, Draft fallimentari, un roster di gregari e vecchie conoscenze della Serie A italiana, quindi non proprio all’altezza del livello americano, i 76ers rialzarono la testa.
Prima di arrivare ad un buon livello, ci vuole sempre un anno zero, un anno ancora negativo, ma dove si pongono le basi per un futuro più luminoso.
Quel momento per la squadra della città di Will Smith fu il 2016. Nonostante quella stagione la chiuderanno con solo 28 vittorie, fu un’annata importante. Ci fu l‘esordio di Embiid che venne però centellinato dopo due anni fermo ai box. Arrivarono giocatori importanti, fondamentali per la crescita del roster come Dario Saric e TJ McConnel, ma soprattutto fu l’anno della prima scelta al Draft e il conseguente approdo di Ben Simmons.
Come anticipato anche l’australiano esordirà con un anno di ritardo, a causa di un piede destro fratturato. La pazienza dei sostenitori di Phila verrà ampiamente ripagata l’anno dopo, quando la squadra di Brett Brown raggiunse i playoff con 50 vittorie, guidati dalla coppia citata precedentemente, malgrado la prima scelta Markelle Fultz si rivelò un mezzo flop, anch’egli spesso fermato dagli infortuni.
Gli ultimi anni: da rivelazione a contender
Ed ecco che arriviamo al periodo storico più recente dei 76ers. Dopo aver ceduto in semifinale di Conference contro i Boston Celtics, Embiid e compagni arrivano ai playoff successivi con un roster molto più competitivo. Nel bel mezzo della stagione salutano Saric, Covington e Bayless e arriva Jimmy Butler da Minnesota. Poi, a pochi giorni dalla deadline, colgono l’occasione di prendere Tobias Harris dai Clippers in cerca di spazio salariale per Kawhi. Ed è proprio l’ex San Antonio, che con quel tiro rocambolesco allo scadere manda in finale di Conference i suoi Toronto Raptors e a casa Jimmy boy e compagni dopo una serie clamorosa, chiusa a gara 7.
Oggi il roster formato da Bryan Colangelo ha cambiato ancora faccia. Non è mai decollato il feeling tra Butler e compagni, infatti l’ex Chicago in estate ha salutato e ha permesso a Phila di aggiungere Josh Richardson al roster. Al Horford ha firmato per dare tutta un’altra dimensione e mentalità alla squadra.
Solo il tempo ci dirà quale sarà il destino di Philadelphia e se il suo nome tornerà sui libri di storia. Oggi possiamo solo aspettare il famoso processo. Come si dice da queste parti, Trust The Process.
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