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Pillon e la stereotipizzazione: ai maschi la tecnica, alle femmine la cura

Sembra di essere tornati indietro di decenni a leggere le parole del senatore leghista Simone Pillon, che rivendica con forza la presunta naturalità delle inclinazioni lavorative di uomini e donne. Si stenta a credere che una simile frase possa essere ancora pronunciata nel 21esimo secolo, eppure la stereotipizzazione dei ruoli non pare essere passata di moda.

A dare il la all’esternazione del senatore leghista un’iniziativa dell’Università di Bari. Lo spunto perfetto per rimarcare, se ancora ce ne fosse bisogno, l’avversione di Pillon, in modo del tutto decontestualizzato, al Ddl Zan.

Il post di Pillon: un esempio di stereotipizzazione

Questa mattina Pillon ha pubblicato un post sulla propria pagina Facebook:

L’università di Bari spinge per far iscrivere ragazze a corsi di laurea tipicamente frequentati in prevalenza dai ragazzi. È naturale che i maschi siano più appassionati a discipline tecniche, tipo ingegneria mineraria per esempio, mentre le femmine abbiano una maggiore propensione per materie legate all’accudimento, come per esempio ostetricia. Questo però non sta bene ai cultori del Gender, secondo i quali ci DEVONO essere il 50% di donne nelle miniere e il 50% di uomini a fare puericultura. Ovviamente ognuno è libero, e ci sono le sacrosante eccezioni, ma è naturale che le ragazze siano portate verso alcune professioni e i ragazzi verso altre. Imporre ai maschi di pagare più delle femmine per orientare la libera scelta di un percorso universitario è un modo di fare ideologico, finalizzato a manipolare le persone e la società. La cosa divertente è che proprio sulla base della stessa ideologia Gender, orgogliosamente propugnata dal DDL Zan, agli studenti maschi basterà autopercepirsi come femmine per i pochi minuti necessari all’atto dell’iscrizione per poter beneficiare legalmente dello sconto… (…)”

Il post di Pillon è un chiaro esempio di stereotipizzazione dei generi e dei ruoli ad essi comunemente associati.

La stereotipizzazione dei generi e dei ruoli

La stereotipizzazione dei generi e, conseguentemente, dei ruoli, propugnata da Pillon, viene appresa dai bambini in età molto precoce. Alcuni studi hanno dimostrato che già intorno ai 5 anni i bambini interiorizzino le aspettative della società attinenti al loro genere e plasmino i propri comportamenti e le proprie preferenze sulla base di queste. Può sembrare superfluo specificare , ma forse occorre farlo, che la propensione delle donne e degli uomini per differenti ambiti di studio o di occupazione non ha nulla di naturale. Il fatto che statisticamente si trovi corrispondenza tra quanto atteso e quanto effettivamente riscontrabile è frutto di quello che in sociologia è chiamato “desiderabilità sociale”. La società, la scuola e la famiglia trasmettono ai bambini idee stereotipate sui ruoli maschili e femminili, comunicandole attraverso l’abbigliamento, i comportamenti e il linguaggio. Le femmine tendono ad essere indirizzate verso la famiglia, la cura della casa e l’allevamento dei figli; mentre i maschi vengono orientati verso attività esterne dal contesto domestico. Gli individui tende a mettere in atto più facilmente comportamenti coerenti con le aspettative esterne e per i quali ricevono approvazione.

Mascolinità vs femminilità

Sempre alla cultura spetta l’ingrato compito di selezionare soltanto alcuni degli aspetti della “mascolinità” e della “femminilità” e di normalizzarli. É fuor di dubbio che fisiologicamente i due sessi abbiano caratteristiche diverse, ma è poi la cultura a enfatizzare tali differenze piegandole a favore del modello sociale adottato. Un bambino che gioca con le bambole è socialmente oggetto a disapprovazione per l’attuazione di questo tipo di dinamiche. In altre parole, il bambino maschio che gioca con le bambole non sta facendo un gioco naturalmente tipico delle femmine, sta giocando con un oggetto culturalmente e socialmente associato al sesso femminile. La standardizzazione dei ruoli è ostacolo al pieno sviluppo dell’individuo e lo limita anche dal punto di vista della realizzazione professionale. Tuttavia, negli ultimi decenni si è assistito, fortunatamente, a un allentamento delle maglie di questa catena e le donne hanno iniziato ad affacciarsi al mondo del lavoro più liberamente, compatibilmente con le proprie inclinazioni. Almeno fino alle parole di oggi di Pillon.

La scelta delle parole

Dalla scelta delle parole del senatore leghista emerge una ben precisa volontà: riportare in auge la fissità dei ruoli femminili e maschili anche attraverso i sostantivi usati per definire studenti e studentesse. Pillon sa che chiamare gli studenti “maschi” e le studentesse “femmine” corrisponde alla volontà di riaffermare la stereotipizzazione dei ruoli riportandola al dato biologico e richiamandosi a quella dicotomia femmina-debolezza-cura/maschio-forza- produttività. Il senatore avalla consapevolmente miti ormai sfatati per strizzare l’occhio a chi è ancora sensibile a questo genere di opposizioni banalizzanti.

Il Ddl Zan

Per Pillon, negli ultimi tempi, ogni scusa è buona per chiamare in causa e cercare di demonizzare il Ddl Zan. “Ai maschi basterà autoconcepirsi come femmine all’atto dell’iscrizione“, scrive, “per i pochi minuti necessari all’atto dell’iscrizione per poter beneficiare legalmente dello sconto“. Il senatore non sa o, più probabilmente, finge di non sapere che in Italia, quando si fa la transizione, si modifica il proprio nome anche all’anagrafe. Risulta difficile ipotizzare, quindi, che gli uffici amministrativi di un’Università possano credere che “Marco” sia legalmente donna.

La replica del rettore

Contro le farneticazioni di Pillon, prontamente è arrivata, dalle pagine di Repubblica, anche la replica di Stefano Bronzini, rettore dell’Università di Bari:

Posso dire che ovviamente la libertà d’espressione, sancita dalla Costituzione, permette a tutti di dire quello che si pensa, ma mi meraviglio che un componente del Senato non si ricordi che abbiamo soltanto fatto una cosa in linea con le normative europee e le linee date dal Ministero per le questioni di genere – spiega il rettore a Repubblica – Non credo che il consiglio d’amministrazione abbia preso provvedimenti che vadano al di fuori del nostro ambito decisionale e ritengo che sia una manovra civile. Gli auguro ogni buona fortuna, soprattutto nella capacità di lettura e interpretazione del mondo.

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Giulia Moretti

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