Dopo 34 mesi di indagini serrate, per 59 dei 69 indagati sul crollo del Ponte Morandi la Procura di Genova ha già deciso di chiedere il rinvio a giudizio. Le istanze saranno inoltrate nella giornata di domani, ma sono state concordate dai titolari dell’inchiesta, i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, insieme al procuratore capo Francesco Cozzi ed all’aggiunto Paolo D’Ovidio. Gli atti arriveranno al Tribunale, che subito dopo dovrà indicare il giudice per l’udienza preliminare che se ne dovrà occupare e decidere chi mandare a processo o meno.
Comunque, le otto posizioni finora stralciate riguardano dirigenti, tecnici di Autostrade e Spea del Gruppo Atlantia; del Ministero delle Infrastrutture, del Provveditorato alle Oper Pubbliche. Tutti con ruoli e responsabilità marginali rispetto all’intera vicenda giudiziaria. Mentre si sa già che non cambiano le responsabilità di Giovanni Castellucci, Michele Donferri Mitelli, Paolo Berti, rispettivamente amministratore delegato, direttore delle Manutenzioni e capo delle Operazioni presso Aspi; ancora Antonino Galatà, Massimiliano Giacobbi ed altri di Spea. Così come per tutti gli altri indagati (fra cui le due società Autostrade e Spea) di cui la Procura e la Guardia di Finanza a cui sono delegate le indagini, dicono di possedere approfonditi elementi di prova sulle loro responsabilità penali.
Tutti i 59 devono rispondere di omicidio colposo plurimo, crollo colposo, omicidio stradale, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Per gli investigatori del Primo Gruppo e del Nom della Gdf – guidati dal colonnello Ivan Bixio e dal tenente colonnello Giampalo Lo Turco – gli indagati conoscevano le condizioni del viadotto Morandi, erano consapevoli dei rischi, tanto che bisognava intervenire con un progetto di retrofitting. I lavori di notevole entità, però, sarebbero stati rinviati per seguire la logica del risparmio e dei maggiori dividendi.