La storia della NBA non è fatta soltanto dai Lebron, dai Jordan, insomma dai fenomeni che compaiono nelle classifiche all-time, ma anche da tutti quelli che stanno attorno a loro e li rendono tali. Il Primo Maggio è la Festa dei Lavoratori e, oggi, celebriamo la classe operaia che va in Paradiso.
Primo Maggio, there’s no I in the word team
La grandezza dei migliori interpreti di questo gioco, spesso ci fa dimenticare che il basket è uno sport di squadra e nessuno vale più di essa. Tutti i grandi campioni, prima o poi, hanno dovuto imparare a mettersi al servizio di un gruppo per vincere, ad utilizzare la loro superiorità come arma in più e non come unica soluzione. In questi giorni, la maggior parte degli appassionati starà seguendo il meraviglioso documentario “The Last Dance”, sui Bulls ’97/98. Si evince benissimo come anche MJ, the GOAT, abbia dovuto affrontare questo processo. Fu fondamentale il passaggio da Doug Collins (apprezzatissimo da Michael) a Phil Jackson, nel ruolo di coach. Non aggiungeremo altro al fine di evitare ogni tipo di spoiler…
Lo stesso Lebron James, spesso accusato in passato di accentrare il gioco troppo su se stesso, ha imparato a cambiare e migliorarsi. Non è un caso che il canestro decisivo nella clamorosa serie contro i Warriors del 2016, l’abbia realizzato Kyrie Irving, in isolamento, figlio della completa fiducia di LBJ.
Doveroso ricordare, però, che ci sarà sempre il numero 1, il più forte, l’uomo simbolo a cui aggrapparsi nel momento del bisogno e di cui fidarsi ciecamente. Infatti, quando Shaq si rivolse a Kobe dicendo “there’s no I in the word Team”, il Mamba rispose “I know, but there’s M-E…”.
Primo Maggio, Rodman: King della working class
Soffermiamoci su quei giocatori che hanno fatto la storia del gioco senza dominare nelle stats, senza comparire sulle copertine, ma che hanno cambiato partite e campionati. Coerentemente con il tema caldo di questo periodo, uno dei primi nomi che non si può non citare è quello di Dennis Rodman, che sulle copertine in realtà è comparso spesso, è stato capace di chiudere una partita con 28 rimbalzi e 0 punti. The Worm, nel sistema dei Bulls, era fondamentale tanto quanto Jordan e Pippen, ma in maniera diversa. Un giocatore unico e insostituibile, uno di quelli che ogni squadra avrebbe voluto. Immaginate un campione Nba che non eccelleva praticamente in niente, anzi. Un 5 volte campione Nba, sempre da protagonista, sempre decisivo, che prendeva 0,4 triple a partita e che ha chiuso la carriera con poco più di 7 punti di media. Eppure era intoccabile sia nei Pistons dei Bad Boys, sia nei Bulls di Jordan, nonostante le sue numerose esperienze fuori dal campo, che per qualsiasi altro giocatore avrebbero pregiudicato la carriera.
Andre Iguodala: MVP della working class
Un altro celebre esempio è quello di Andre Iguodala. Nelle Finals del 2015 ha portato a casa il premio di MVP, nonostante avesse un ruolo da supporting cast di Steph Curry e Klay Thompson. Inoltre, possiamo aggiungere che l’ex compagno di squadra di Iggy, Draymond Green, rappresenta il miglior esempio di come il tipo di giocatore alla Dennis Rodman si sia evoluto. Draymond Green nasce come comprimario, ma è diventato tassello insostituibile della dinastia Warriors. Si tratta di un campione assoluto, capace di chiudere una gara di Nba Finals con 32 punti, 15 rimbalzi e 9 assist. Pochi giorni fa ha ricordato a tutti che la storia di Golden State l’ha cambiata anche lui:
“Credo di aver cambiato il gioco del basket con l’aiuto di Steph Curry. Penso che Steph Curry abbia cambiato il gioco del basket col mio aiuto. Credo sia stato binomio perfetto. E poi è arrivato Klay Thompson ed è diventato uno dei migliori due tiratori al mondo. Noi tre abbiamo cambiato il gioco del basket per sempre“.
Primo Maggio, quando la classe operaia va in Paradiso
Negli ultimi tempi abbiamo sentito, spesso, parlare di come tante tipologie di giocatore scompariranno con l’evolversi del gioco. La classe operaia vera non cesserà mai di esistere, cambierà nelle sue caratteristiche, ma farà sempre parte di questo gioco.
Chiedetelo ai tifosi dei Miami Heat che hanno visto vincere il primo titolo della loro storia nel 2006 non solo grazie ad un mostruoso Dwayne Wade, ma anche grazie alle piccole giocate sporche di Udonis Haslem, alle 5 stoppate in gara 6 di Zo Mourning, ai numerosi sfondamenti di James Posey.
In aggiunta, come dimenticare il ruolo di Metta World Peace, all’epoca Ron Artest nei Lakers del 2008/2009 e 2009/2010. Ci sono anche quei giocatori che sanno sfruttare al meglio le chance che gli vengono concesse e rimangono nel cuore dei tifosi più di tanti altri, anche se meno talentuosi o spettacolari. Uno di questi è Matthew Dellavedova, lanciato titolare dai Cavs di Lebron nelle Finals del 2015, a causa dell’infortunio di Kyrie Irving e che ha rispsoto con prestazioni sontuose, oltre ogni aspettativa e potenzialità.
Il nostro augurio di buon Primo Maggio nel mondo del basket americano va principalmente a loro, perché come disse Kevin Durant qualche tempo fa “sometimes hard work beats talent”
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