Lo ha deciso il gup del Tribunale di Roma, in conformità con l’istanza di rinvio a giudizio fatta dal pm dell’inchiesta bis, Giovanni Musarò. Tre dei cinque Carabinieri sarebbero i responsabili della morte di Stefano Cucchi, altri due avrebbero mentito
Dopo che il 19 aprile scorso la famiglia Cucchi si era vista negare formalmente giustizia, pur vedendosela riconosciuta nella sostanza, il “caso Cucchi” si riapre.
Il gup del Tribunale di Roma, Cinzia Parasporo, ha infatti accolto la richiesta di rinvio a giudizio proposta dal pm Giovanni Musarò, nei confronti di cinque indagati delle forze dell’ordine.
Il rinvio a giudizio riguarda le indagini del processo bis sulla morte del geometra romano Stefano Cucchi, avvenuta nel 2009 in circostanze ancora da chiarire.
Dopo l’annullamento della sentenza di appello da parte della Corte di Cassazione, che di fatto riapriva nel merito il processo, i reati contestati ai medici dell’Ospedale Pertini sono andati prescritti, di fatto prosciogliendoli formalmente.
La famiglia di Stefano Cucchi non si è mai arresa e ha trovato sostegno in una testimonianza di un ex compagno di cella del geometra che ha riferito le parole del ragazzo dopo il violento pestaggio, facenti rifermento proprio ai Carabinieri ora indagati. Fondamentale è stata l’intercettazione telefonica di una conversazione tra il carabiniere Raffaele D’Alessandro e l’ex moglie Anna Carino, nelle quale questa affermava: “Non ti ricordi — rivolgendosi a D’Alessandro — che mi raccontavi di come vi eravate divertiti a pestare “quel drogato di m..”?
Questi fatti, uniti ad una rilettura delle carte prodotte del primo processo, hanno spinto il pm Giovanni Musarò ad aprire una nuova indagine, terminata con il rinvio a giudizio di cinque Carabienieri, forse autori dell’atroce morte di Stefano Cucchi.
Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco , Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi sono i cinque indagati dell’inchiesta bis sul caso Cucchi: i primi tre sono imputati per omicidio preterintenzionale, Mandolini e Nicolardi rispondono invece di calunnia in quanto avrebbero mentito, nel primo processo, testimoniando il falso e accusando altri colleghi, quelli della polizia penitenziaria.
“Le lesioni procurate a Stefano Cucchi, il quale fra le altre cose, durante la degenza presso l’ospedale Sandro Pertini subiva un notevole calo ponderale anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subìto, ne cagionavano la morte” – si legge nella richiesta di rinvio a giudizio che si rifà a quanto pacificamente riconosciuto anche in primo grado, ossia il collegamento tra il fatto morte e le violente percosse a cui Stefano Cucchi fu sottoposto subito dopo il fermo di indiziato.
“In particolare – si legge ancora nell’ordinanza – la frattura scomposta della vertebra s4 e la conseguente lesione delle radici posteriori del nervo sacrale determinavano l’insorgenza di una vescica neurogenica, atonica, con conseguente difficoltà nell’urinare, con successiva abnorme acuta distensione vescicale per l’elevata ritenzione urinaria non correttamente drenata dal catetere. Una situazione che «accentuava la bradicardia giunzionale con conseguente aritmia mortale“.
Il processo inizierà il 18 ottobre davanti alla Corte d’Assise ma vedremo cosa succederà, se gli imputati opteranno per il giudizio ordinario o chiederanno il rito abbreviato, l’immediato o il patteggiamento, qualora ve ne vossero i presupposti.
Nell’attesa, gli imputati, assenti nel momento della lettura del provvedimento da parte del gup, già prendono le loro difese. I legali in campo sostengono infatti che non siano stati i loro assistiti ad uccidere Stefano Cucchi, ma i medici, che avrebbero omesso di agire conformemente alle loro possibilità, per i quali il reato però è ormai prescritto, come sostiene l’avvocato di Tedesco, Eugenio Pini: “la perizia medica acquisita con incidente probatorio, ha escluso qualunque responsabilità dei carabinieri e questo porterà a una sentenza d’assoluzione”.
“Da giurista mi sento di urlare che la responsabilità penale è personale; non si può essere accusati di omicidio per la morte causata dall’errore eclatante e
straordinario di un medico” – afferma Antonella De Benedictis, legale di uno dei carabinieri, insieme ai colleghi Goffredo Grasso e Vincenzo De Blasi.
“Finalmente i responsabili della morte di mio fratello, le stesse persone che per otto anni si sono nascoste dietro le loro divise, andranno a processo e saranno chiamate a rispondere di quanto commesso” – urla a gran voce Iaria Cucchi che negli anni non si è mai arresa nella battaglia per ottenere giustizia per il fratello Stefano.
Lorenzo Maria Lucarelli